“Le Alpi” di Paolo Borghi raccontano la natura del Festival cremasco I Mondi di Carta

“Le Alpi” di Paolo Borghi raccontano la natura del Festival cremasco I Mondi di Carta

Tenuta segreta fino al momento dell’inaugurazione della storica kermesse dedicata al tema “La natura ci salverà?”, la scultura resterà esposta fino al 17 Ottobre in Piazza Duomo.

“Le Alpi” di Paolo Borghi (Foto: Rachele Donati De Conti)

È stata un’inaugurazione a regola d’arte per I Mondi di Carta Festival, la kermesse multiculturale cremasca che sabato due ottobre scorso ha salutato la sua nona edizione, in programma fino a domenica dieci. Lo ha fatto reiterando un rituale originale, un’idea preziosa che illumina tutta la manifestazione con i bagliori della bellezza, ossia regalare alla città di Crema, anche se solo per pochi giorni, una scultura realizzata da un artista importante, un’opera che possa essere al tempo stesso sintesi e simbolo  del tema, del “fil rouge” che guida il concatenarsi dei singoli eventi e che quest’anno è affidato al quesito: “La natura ci salverà?”.

“Un tema sfidante, così come lo sono stati gli ultimi due anni a livello globale e per la comunità di Crema, tanto duramente messa alla prova da una pandemia con strascichi ancora seri e che sta dimostrando quanto  la Terra sia un tutto interconnesso in cui i comportamenti dei singoli sono importanti al pari delle scelte strategiche delle Nazioni e dei loro governanti”, sottolinea il Presidente dei Mondi di Carta Enrico Tupone, ideatore della manifestazione figura di riferimento per tutto il gruppo dei soci.

Ed è stato proprio lui, supportato dalla figlia Isabella Tupone direttrice della galleria milanese Area\B e in collaborazione con Studio Copernico, a selezionare la magnifica veduta bronzea “Le Alpi” dell’artista Comasco Paolo Borghi e a tenere tutti all’oscuro di questa scelta fino al momento stesso dell’inaugurazione, quando il drappo rosso che la copre viene sollevato e rivela quindi il segreto così ben custodito. La “possente leggerezza” dell’opera di Borghi lascia tutti stupiti: è quasi come affacciarsi, in piena Piazza Duomo, da una terrazza a centinaia di metri di altezza. 

Paolo Borghi impara dal padre, abile orafo e cesellatore, l’arte della lavorazione dei metalli.  A partire dal 1958, si dedica completamente alla scultura, scegliendola come mezzo espressivo principale. Intorno al 1980, scopre la sua vera anima artistica, che affonda le sue radici nel classicismo delle forme, nell’indagine del mito e del sacro. Nel corso degli anni il suo lavoro diventa protagonista di importanti mostre e grandi committenze, alcune sue opere si trovano in permanenza al Mola Center di Los Angeles, in Texas, in Corea, sue sono anche le magnifiche porte in rame sbalzato della Basilica dei Santi Pietro e Paolo, a Milano, sua è la nuova monetazione del Vaticano e le innumerevoli opere di ispirazione sacra che adornano chiese e piazze italiane. “Le Alpi” è una fusione in bronzo realizzata nel 2003, che di recente è stata esposta presso l’incredibile contesto della Reggia di Venaria, a Torino, e arriva oggi a Crema, nell’altrettanto meravigliosa Piazza Del Duomo.  “Le Alpi”, nel racconto dell’artista, usa il tramite di queste figure di ispirazione etrusca, per riprodurre il paesaggio alpino che l’artista vede dalla finestra del suo studio, che si trasforma qui in due soggetti uniti fra loro, quasi a formare un una figura unica, e fortemente radicati a terra, proprio come la maestosa catena montuosa che li ha ispirati. La forza suprema della natura è sintetizzata in una scultura dettagliata, a tratti delicata nei suoi particolari, ma assolutamente concreta e destinata a perdurare nel tempo, anche davanti alle intemperie del mondo. Con “Le Alpi” Borghi ragiona sul paesaggio che diviene corpo e sul corpo che diventa paesaggio. Costruisce mondi, assembla diversi momenti di un’esistenza e recupera i riferimenti di un’antichità che non smette di interessare e ispirare gli intelletti. L’attenzione per le vicende umane si consuma insieme a quella per la natura che diviene elemento parlante. I corpi distesi in riposo di due amanti fanno da preambolo allo svolgere dei rilievi montani: come gli dei che, stanchi, hanno da poco originato un intero universo.

Fonte: Pagina Facebook “I Mondi di Carta”

“Le Alpi” di Paolo Borghi (Foto: Luca Severgnini)

L’opera resterà esposta in Piazza Duomo a Crema per due settimane, fino al 17 Ottobre e sarà l’occasione per tutti per ammirare da vicino l’opera di un artista tanto importante quanto appassionato. Vegliato dalle due figure bronzee, I Mondi di Carta Festival darà corso ai tantissimi appuntamenti in programma negli storici e suggestivi spazi del Sant’Agostino-Museo Civico.  Otto giorni di iniziative, circa venti differenti appuntamenti,  una sfida alle precedenti edizioni, ciascuna unica, particolare, amata e ricordata per ragioni differenti. Letteratura, arte, musica, cucina, benessere e tanto altro: i Mondi continuano ad esplorare e a sorprendere, a inventare e a rischiare. Attesi nomi importanti della letteratura, della musica, della gastronomia della scienza e della comicità, fra cui la scrittrice Antonella Boralevi, il giornalista Mario Calabresi, l’immunologo Alberto Mantovani, il cuoco e conduttore televisivo Andrea Mainardi, il comico Germano Lanzoni. Enrico Bertolino,  formidabile formatore e umorista chiuderà l’edizione 2021 con la sua tagliente, irresistibile ironia. I Mondi di Carta 2021 propongono dunque un palinsesto variegato e ricco di sorprese, a conferma della centralità di Crema e dei suoi operatori culturali come motore di iniziative prestigiose, una vera e propria vetrina di alto livello per il territorio, la sua bellezza, i suoi talenti. 

I Mondi Social

website: www.imondidicarta.it

facebook: @imondidicartaFestival
instagram: imondidicarta_Festival

Foto in evidenza di Luca Severgnini

Francesca Bertazzo Hart Quartet “JAZZ LIGHTS”

Francesca Bertazzo Hart Quartet “JAZZ LIGHTS”

Torna a Crema mercoledì 7 luglio 2021 sul palco più importante della città, il CremArena, la cantante e chitarrista Francesca Bertazzo Hart con un concerto dal nome Jazz Lights. L’evento è inserito nel palinsesto degli eventi culturali estivi e realizzato in collaborazione con il Crema Jazz Art Festival.

Francesca Bertazzo Hart

Davvero unica e originale questa formazione che vede la vocalist protagonista anche di quasi tutti gli arrangiamenti e dell’accompagnamento armonico alla chitarra, con una scelta di repertorio che parte dal mainstream e approda al jazz moderno passando per il be-bop e l’hard-bop. In una sapiente miscela fra standards noti e poco noti e brani originali autografi, Francesca Bertazzo Hart conduce il suo quartetto, plasmandolo a volte in mainstream band al servizio della sua splendida voce profondamente jazz; a volte in un più energico e ardente gruppo hardbop e bebop in cui la sua vocalità, attraverso la tecnica dello scat singing, si manifesta in modo più strumentistico.

“Posso contare sulle dita di una mano le cantanti jazz viventi in grado di cantare abilmente sugli accordi e Francesca Bertazzo e’ in cima a questa ristretta lista… Francesca e’ una cantante completa:è dotata di un meraviglioso suono, swinga accanitamente, racconta ogni volta una commuovente storia, è maestra dell’improvvisazione, scrive i suoi arrangiamenti, compone brani interessanti ed esclusivi ed espertamente accompagna se stessa con la chitarra con la quale anche improvvisa. Ha davvero fatto il suo dovere e il risultato è che riesce a fare tutto! Francesca Bertazzo è un’autentica originale!” (Amy London) 

Francesca Bertazzo Hart, voce e chitarra

Nel 1997 si è diplomata in canto jazz al C.P.M. di Milano con il massimo dei voti più nota di merito sotto la guida di Tiziana Ghiglioni e Francesca Olivieri. Ha partecipato a diversi seminari studiando con: Mark Murphy, Bob Stoloff (Berklee School of Music), Jay Clayton, Rachel Gould, Barry Harris, Kate Baker e altri. Nel 1996 partecipa ad un seminario con Sheila Jordan e vince una borsa di studio per seguire a New York i corsi della Manhattan School of Music. Nel 1997 si trasferisce negli Stati Uniti e vi resta per quasi quattro anni, facendo la gavetta nei club di New York. Ha cantato: nel “Ronald Westray Ensemble” diretto dal trombonista di Wynton Marsalis, nella “Jason Lindner Big Band” che annovera personaggi del calibro di Mark Turner, Antonio Hart e Greg Tardy e in diverse altre piccole formazioni. Francesca è artista versatile capace di creare un tutt’uno fra sperimentazioni vocali, improvvisazioni bebop e interpretazioni di standards americani, ma si evidenzia soprattutto per la grande capacità d’improvvisazione che fa di lei una delle più importanti cantanti scat italiane. Negli ultimi anni ha lavorato con diversi musicisti italiani tra i quali Fabrizio Bosso, Marcello Tonolo, Robert Bonisolo, Ares Tavolazzi, Massimo Manzi e molti altri. Molto intensa anche l’attività concertistica all’estero con esibizioni in: Austria,Polonia, Francia, Lituania, Lettonia, Belgio, etc… Tra i progetti discografici più rilevanti è da segnalare il cd “Silver Friends”, omaggio alla musica di Horace Silver, con Ettore Martin al sax, Alberto Marsico all’Hammond ed Enzo Carpentieri alla batteria; “The Grace of Gryce“ con Ettore Martin al sax, Kyle Gregory alla tromba, Beppe Pilotto al contrabbasso e Marco Carlesso alla batteria; “The Teaneck session “ con George Cables al pianoforte e Steve Williams alla batteria e “Monk’s Midnight“ con Ilona Damietzka al pianoforte, Pawel Urowski al contrabbasso e Eric Allen alla batteria. Oltre all’attività concertistica insegna canto jazz in diversi conservatori di musica.

Beppe Pilotto, contrabbasso

Inizia lo studio del basso elettrico da autodidatta nel 1986 e successivamente del contrabbasso presso la scuola “Gillespie” di Bassano del Grappa sotto la guida di Giko Pavan ed in seguito con Cameron Brown e Andy McKee. Ha suonato con varie formazioni in Italia, Francia, Austria, Germania, Slovacchia, Giappone, Lettonia, in clubs, teatri e Festival; ha collaborato con vari musicisti tra i quali: Robert Bonisolo, Danilo Memoli, Michael Loesch, Glauco Masetti, Paolo Tomelleri, Sandro Gibellini ,Massimo Chiarella, Enzo Scoppa, Gianni Cazzola e altri. Ha partecipato a vari Festival e rassegne: Etna Jazz, Festa della Musica (a Parigi), Fiemme Ski Jazz, Kemptener Jazz- Fruhling, Eurommet Jazz Festival,“Marostica Jazz e altri. Ha inciso una decina di CD tra i quali: “New Thing Quartet” (2000), “Connection” Helga Plankensteiner Walter Civettini quintet (03), “Rythme Futur” con il gruppo Alma Swing (05) vincitore del concorso Porche Live Giovani e Jazz 2004. 

Enzo Carpentieri, batteria

Un musicista eclettico che integra gli elementi più tradizionali della musica afroamericana con quelli più moderni: dall’hardbop al freejazz, dal mainstream all’avanguardia, il batterista Enzo Carpentieri si trova proprio agio con le più disparate musiche riuscendo ad esprimersi con successo in diversi contesti stilistici. Attivo soprattutto in ambito jazz, ha suonato con Massimo Urbani e Sal Nistico, ha inciso con Franco Cerri e Gianni Basso e nell’area creativa della scena moderna con Greg Burk, John Tchicai, Rob Mazurek. Ha suonato in diversi paesi europei e in Cina, Asia, Indonesia, Australia, Jakarta, Vancouver, Melbourne, Buenos Aires, Honk Kong, New York. 

Gianluca Carollo, tromba e flicorno

Nel 1987 si diploma in tromba presso il Conservatorio di Vicenza sotto la guida del M° Bonomo. Successivamente si specializza con: E. Soana, M. Applebaun, G. Parodi, C. Roditi e C. Tolliver. Nel 1993 si diploma in strumenti a percussione al Conservatorio di Vicenza con il M° Facchin, con il massimo dei voti e la lode. Nel 2000 e 2001 partecipa ai workshops estivi della New School di New York organizzati da Veneto Jazz. Vanta numerosissime collaborazioni nell’ambito della musica classica (orchestra sinfonica di Sanremo, orchestra della Fenice di Venezia, vincitore del 1° premio assoluto al concorso internazionale per percussionisti “Cotogni” a Rovigo etc…) e della musica leggera (lavora per U. Smaila, Vittorio Matteucci, si esibisce in diverse trasmissioni televisive come: ”Buona Domenica”, ”Super classifica Show” etc.., è trombettista nella big band guidata da P. Belli, lavora come side man in più di 50 cd registrando per le etichette: SONY, BMG, etc…). Con il passare degli anni però si avvicina sempre di più alla musica jazz, la sua vera passione. Sono numerose le collaborazioni anche in quest’ambito in prevalenza come trombettista e in qualche occasione anche come vibrafonista. Si è esibito in svariati festival in Italia collaborando con diversi musicisti tra i quali: Carla Bley, Maria Schneider, Steve Swallow, Kenny Wheeler, Tom Harrell, Billy Cobham, Aldo Romano, Mainard Ferguson, Claudio Roditi, Ernie Watts, Enrico Rava, Robert Bonisolo e altri.

“Jazz Lights” Francesca Bertazzo Hart Quartet

Dove: CremArena, Piazzetta Winifred Terni de Gregorj, 3, Crema (CR)

Quando: Mercoledì 7 luglio, ore 21.

Francesca Bertazzo: chitarra-voce

Gianluca Carollo: tromba-flicorno

Beppe Pilotto: contrabbasso

Enzo Carpentieri: batteria

Foto in evidenza di Dan Codazzi

Inchiostro Festival? Un romanzo, spero con molti sequel

Inchiostro Festival? Un romanzo, spero con molti sequel

Da sinistra a destra: Lorenzo Sartori, Massimo Carlotto, Paolo Panzacchi

Si è conclusa domenica 19 giugno a Crema con un grande successo la terza edizione di Inchiostro, la due giorni letteraria ideata e diretta dallo scrittore Lorenzo Sartori e realizzata in partnership con l’Amministrazione Comunale di Crema. Grande cura e attenzione alla qualità delle proposte hanno caratterizzato anche questo nuovo capitolo di una  kermesse che si contraddistingue  per la piacevole atmosfera informale degli incontri, per la caratura degli autori invitati (sia per quanto riguarda le voci emergenti che per i big) e per la qualità dei conduttori, efficientissime e brillanti  “cinghie di trasmissione” fra gli autori, il loro mondo narrativo e il pubblico. Sara Rattaro, Marco Balzano e Massimo Carlotto hanno fatto delle due serate in CremArena due appuntamenti davvero preziosi perché le presentazioni dei loro romanzi si sono trasformate in immersioni nel tempo reale, per osservare con più lucidità e attenzione la società contemporanea, i nostri comportamenti, i cambiamenti in atto, i fenomeni che stanno caratterizzando le nostre scelte e le nostre vite.
Abbiamo incontrato, “a bocce ferme” o per meglio dire “a pagine chiuse”, il direttore artistico di Inchiostro Lorenzo Sartori e approfondito insieme a lui alcuni aspetti di questa felice esperienza.

Lorenzo Sartori

Terza edizione di Inchiostro. Ti chiedo di fare un bilancio non tanto di questa edizione che è stata un vero successo, quanto del percorso che hai compiuto fin qui, da curatore, insieme al tuo festival.

Il festival è partito nel 2018 ed è subito stata una scommessa, per il sottoscritto che l’ha ideato e per l’amministrazione comunale che ha creduto da subito nel progetto. A Crema erano presenti vari eventi letterari ma non si è mai tenuto un vero e proprio festival, un momento denso di appuntamenti anche in sovrapposizione, dove al lettore è chiesto di scegliere un proprio percorso. Un week end di totale immersione nel mondo dei libri, con la possibilità di conoscere scrittori ma anche editori o addetti ai lavori, perché dietro a ogni libro c’è un mondo ed è giusto che il lettore lo conosca. La scommessa è stata duplice perché si è affiancata al festival una piccola fiera dell’editoria indipendente cosa che ha permesso di animare e valorizzare i chiostri dalla mattina alla sera. Oltretutto credo che sia una delle poche fiere in Italia in cui non sono ammessi editori “a pagamento” (quelli che si fanno pagare dall’autore per pubblicare un libro invece del contrario). Siamo piccoli ma con le idee chiare. La qualità dell’editoria di un paese passa anche attraverso queste piccole ma ferme scelte. Vista la risposta del pubblico direi che entrambe le scommesse sono state vinte.

In che modo selezioni i titoli e gli autori da presentare? Segui un tema o costruisci il programma ascoltando il mercato e i suggerimenti degli editori? Ma soprattutto, come entri in contatto con “dialogatori” così vivaci e competenti? 

Tengo in considerazione vari aspetti. Il pubblico è attratto dai grandi nomi, dagli scrittori affermati che hanno un forte seguito e se ce l’hanno un motivo c’è. Questo motivo sta in quello che scrivono ma anche nel modo in cui lo raccontano, perché mentre la lettura è un momento intimo che riguarda il lettore in modo diretto, senza intermediazioni, la presentazione di quel libro resta comunque un momento performativo e sottostà alle logiche dello spettacolo. Esistono bravi scrittori che però un palco non lo sanno tenere. Quando cerco gli ospiti devo prendere in considerazione quindi anche la capacità di questi autori di intrattenere, di sapere veicolare contenuti interessanti anche a voce. Questo significa andare a vederli prima, seguendo durante l’anno altri festival e presentazioni. Però fama e qualità non sempre vanno di pari passo. Arte e mercato seguono rotte che spesso confliggono. In Italia si legge poco e quindi si premia solo una minima parte degli autori che meriterebbero di essere letti, di solito quelli ben supportati dalle grandi case editrici. Come direttore artistico del festival cerco di dare voce anche agli altri autori, validi ma ancora poco conosciuti, e lo faccio rompendo ogni barriera di genere. Credo che Inchiostro sia uno dei pochi festival che ospiti autori di narrativa contemporanea, di noir, di rosa, di fantasy, di fantascienza senza creare ghetti.

Quanto ai conduttori mi fa piacere che tu abbia apprezzato il loro lavoro. Lo stile di Inchiostro è essere al servizio degli scrittori e serve intelligenza e umiltà quando si dialoga con un autore. Sono fortunato ad avere una bella squadra.

La lettura, l’ascolto e l’approfondimento di tante storie, il confronto delle idee: Inchiostro ha dimostrato anche in questa occasione che le idee coinvolgono il pubblico come e forse meglio di uno spettacolo teatrale, o di un concerto. Eppure i dati sulla lettura di libri e giornali da parte degli italiani sono molto poco incoraggianti. Secondo te qual è il motivo di questa contraddizione? E che cosa si potrebbe fare in concreto per spingere le persone a interessarsi di più alla lettura?

Alla gente piace ascoltare storie. È una cosa che facciamo dall’alba dei tempi, una cosa di cui abbiamo bisogno. Per secoli abbiamo ascoltato storie e solo più di recente abbiamo iniziato a leggerle. Fino agli anni ‘50 una buona fetta della popolazione italiana era analfabeta e se anche impari a leggere a scuola poi ti devi allenare, altrimenti leggere è faticoso, molto. Sei italiani su dieci non leggono neanche un libro all’anno e tra quelli che leggono la maggior parte sono donne, credo ci sia un rapporto di tre a uno, se non di quattro a uno. Se teniamo conto che la classe dirigente di questo paese è composta purtroppo in prevalenza da uomini non è assurdo ipotizzare che una buona fetta delle persone che prendono decisioni in Italia, decisioni da cui dipendono i destini di altri individui, non legga e quindi non conosca. La scuola ha sicuramente un ruolo importante in questa battaglia ma spesso vengono proposti i libri sbagliati e nel modo sbagliato. Imposti. La lettura è un piacere, un piacere che ti allarga la mente, che ti fa vivere altre vite e viaggiare in altri spazi e in altri tempi. Ma richiede un po’ di fatica se non si è allenati, se non si è stimolati a farlo. E io spero che un festival a questo serva, a dare stimoli.

Se Inchiostro festival fosse un libro, che genere sarebbe, e perché?

Direi sicuramente una raccolta, per la varietà della proposta. O un romanzo che attraversa vari generi letterari. Mi auguro con molti sequel.

Da sinistra a destra: Lorenzo Sartori, Massimo Carlotto, Paolo Panzacchi

State vicini a una foglia. L’arte, la terra

State vicini a una foglia. L’arte, la terra

L’Ortocanestro

Compie quattro anni questo intervento artistico che prende spunto da un desiderio insistente e felice di Tonino Guerra.

Una specie di matrioska, già simbolo di fertilità della terra, nata con un’idea di Orto per anziani e diventata poi un Parco Museo della scultura all’aperto e un Giardino Botanico.

Il contenitore contenuto è il bel parco della Casa di Riposo RSA in via Zurla a Crema.

Tonino Guerra mi ripeteva: “c’è una cosa che non dobbiamo dimenticare, una cosa urgente. Fare l’orto nelle case di riposo. Ai vecchi bisogna dare qualcosa di vivo da vedere, da curare anche solo con gli occhi ogni giorno. Non quei giardini già fatti, di gusto inglese, lì non c’è niente da aspettare, qualche fiore, ma è roba d’altri. L’orto è un quadratino di terra possibile, le foglie di insalata crescono e si possono mangiare. Una melanzana viene a tavola, come un ravanello. Fate l’orto con gli anziani. Non aspettate, la vita si spegne in fretta e il vecchio ha bisogno di piccole cose vive per addormentarsi con un’immagine dolce, per tenere davanti agli occhi qualcosa che anche domani lentamente cresce. Stare vicino a una foglia può fare compagnia più della TV”.

Ho pensato a lungo a come poteva essere un orto per persone con difficoltà motorie, magari sospinte nel parco in carrozzella. Una cosa certamente da evitare la distanza dalla terra e tutto ciò che fosse spigoloso. Una condizione che sentivo fondamentale era creare una specie di immersione della persona nei profumi e nei colori e nelle consistenze del mondo vegetale. Fare in modo che potesse toccare le foglie, i frutti e sentirne gli umori e i profumi. Mettere ancora le mani nella terra.

Ho portato la terra, alzandola, a 90 centimetri, disegnando semplicemente un  doppio ferro di cavallo in cui piantare e far crescere gli ortaggi, i fiori, le aromatiche.

Un grande canestro di quattro metri di diametro in cui chi entra, anche in carrozzella, può avere la terra all’altezza del busto. Può fare ogni operazione con la massima facilità, come su un normale piano di lavoro.

La realizzazione è stata laboriosa perché ho voluto usare i principi dell’intreccio adottando come essenza possibilmente forte e durevole il bambù. Ciò ha voluto dire predisporre all’intreccio delle strisce di vegetale che fossero flessibili, ricavandole da grosse canne fresche  con un procedimento manuale veramente impegnativo e fortunatamente sostenuto da giovani braccia della locale scuola agraria. Ma il risultato fu ottimo. Una tessitura compatta, esteticamente bella e forte per contenere la spinta e il peso della terra. 

Ortocanestro è una scultura funzionale. Un grande ventre. Il ventre di madre terra. Un impianto a lasagna che sfrutta materiale vegetale del giardino, strati di legname, sfalcio e terriccio, alternati.

In questi quattro anni, in collaborazione con le animatrici, l’orto ha permesso di condurre esperienze di tipo sensoriale che hanno coinvolto gli anziani in attività concrete, stimolando anche il pensiero a ripercorrere nella memoria periodi di adolescenza e gioventù in cascina.

Stando a lavorare nel parco mi capitò spesso di osservare gli ospiti nelle loro passeggiate in solitudine o accompagnati. Quasi sempre lo sguardo a terra, in una specie di raccoglimento isolato e interiore. Una condizione che  sentivo avrei potuto rendere meno assillante con l’aiuto dell’arte. Serviva una visione che aprisse una breccia emotiva, che spostasse gli orizzonti piatti della tristezza verso piccole  improvvise sorprese, come paesaggi inattesi che ti arrivano addosso e allora qualcosa  nel torpore può succedere, gli occhi si alzano verso una nuova dimensione, rispondendo a un richiamo.

Il Giardino della scultura sospesa

Il parco diventava nella mia immaginazione un luogo dove sospendere invenzioni, non solo facendole scendere dall’alto, ma pensandole come situazioni di sospensione del reale. 

E così tenendo ferma questa visione ho iniziato a coinvolgere artisti che potessero condividere la stessa ispirazione. Con la preziosa collaborazione di 20 artisti, che in modo totalmente volontario hanno donato lavoro e opere, il Giardino si è venuto via via arricchendo di interventi realizzati secondo il principio dell’accettare che il tempo e la natura  facciano dell’opera qualcosa di mutevole. Gli artisti attraverso le installazioni hanno instaurato un dialogo profondo con il luogo e le opere respirano silenziosamente in una convivenza che le porta sempre più vicine alle origini. I materiali di cui sono fatte vivono un quasi ritorno. Il ferro di tavoli, sedili, animali fantastici, una casa, tutto si sta colorando di patine ruggine e nei tramonti sono fiamme di arancio vivo e bruni di ossidi che raccontano il ritorno alla terra. Mentre i legni in forma di totem  che si calano dalle ombre dense, si fanno scavare dalle piogge e tingere dalle umidità. Altrove vetri sospesi e mossi dal vento, colpiti dalla luce gettano riflessi e movimenti di bagliori nell’aria. La scura magnolia ospita figurine in terra cotta, portatori di luce dondolano su piccole altalene. Un’anfora antropomorfa si fa notare nel centro del giardino per i racconti alla luna che regge in equilibrio sul capo, e per i suoi giochi spaziali. 

Tra due alberi è tesa una grande farfalla fatta di aria e metallo, quasi un ricamo, variopinta presenza simbolica e generatrice di energie propizie. In vicinanza  sta una piccola foresta di mare il cui verde turchese dei cinque alberi è opera della trascolorazione del rame. 

Appoggiandole alle antiche mura due artisti hanno costruito tre grandi stelle di bambù, talmente alte possono guardare oltre verso oriente, suggerendo allo sguardo un punto di evasione.

Nella zona dell’Ortocanestro una artista ha collocato un custode, albero uomo seduto a proteggere dagli spiriti maligni. E non lontano la stessa artista ha sospeso un giardino che ci regala la doppia visione di foglie e radici.

Recentemente abbiamo saputo che negli anni ’50, ’60, in quel parco sostavano ospiti gli animali dei circhi, proprio lì vi scorre una piccola roggia che li abbeverava. 

Due artisti hanno raccolto la suggestione e hanno realizzato una  leggerissima scultura di un cammello dal corpo di cruna. Attraversarlo porta fortuna. E ancor più vicina all’acqua di cui raccoglie i sussurri, galleggia una navicella del tempo,  una culla bianca e flessuosa. La sostiene una magnifica sequoia.

Nell’erba, abitate da erbaggi e fiori, figure umane in rete metallica, così delicate da essere percepite come ombre, vivono tra le fronde della bella famiglia di aceri.

Non lontano in un angolo di raccoglimento creato da tavolo e sedia con tante pagine di libri, un lettore invisibile, ma può essere anche uno scrittore, si è scelto questo punto di osservazione.

Sotto un piccolo portico, protetto nel suo candore, un destriero in gesso  dalla esuberanza plastica, anima di nuova energia le presenze più appartate e silenziose.

E una sedia appartenuta a una madre, ha lasciato la dimensione terrena per sostare, imbrigliata in una tessitura metallica, sul tronco di un grande platano.

Il Giardino dei Verzellini

Nei lunghi periodi di lavoro non poteva sfuggirmi, in questo cuore verde della città, il valore e la bellezza delle essenze arboree. E lo stupore per i canti gioiosi e armonici di piccoli uccelli come i verzellini. Durante le mie soste di attività nel parco, passando le stagioni, ho visto fiorire alberi meravigliosi, ho visto la nudità dell’inverno giocare con le scure macchie dei pini e tutti gli ori e i rossi dell’autunno. Più volte mi sono detta che poche  sono le persone che conoscono e godono della bellezza di questo luogo, e che un ulteriore motivo di incontro con gli ospiti della casa di riposo avrebbe potuto essere la creazione di un percorso botanico per la conoscenza delle piante e lo studio   da parte di appassionati e di gruppi scolastici.

Ho sensibilizzato un esperto studioso di botanica che con grande generosità ha elaborato per noi la classificazione delle quaranta specie arboree presenti nel parco, per un complessivo numero di 84 tra alberi e arbusti. Il percorso è completo. Ogni albero ha il proprio nome scientifico inciso su una targa di ferro. 

Ora non ci può sfuggire, l’ARTE e la TERRA sono fortemente intessute. E a tutti noi è dato di poter entrare in questa oasi piena di magia e di poter STARE VICINO A UNA FOGLIA.

Consulenza scientifica per il percorso botanico del Giardino dei verzellini  a cura di Valerio Ferrari

Foto: Roberto Rago – Valentina Gramazio