È in libreria dal 12 Maggio scorso “L’Arte della felicità – 6 emozioni per pianoforte”, il nuovo libro del musicista e compositore Antonio Fresa. Un piccolo, prezioso volume pensato per essere letto e riletto con calma, proprio come un brano musicale o la scena di un film che rivela qualcosa di nuovo a ogni ascolto o visione. I QR code disseminati fra le pagine rimandano a contenuti audio e video, perché quando le parole non bastano, l’autore ricorre agli strumenti che gli sono più congeniali: la musica, le immagini, il pensiero “multimediale”. Valentina Gramazio l’ha letto, ascoltato e visto per voi: ecco la sua recensione
Che cosa succede quando un musicista abituato a comporre per il cinema, per il teatro, per le grandi architetture della storia italiana, decide di raccontare le emozioni in forma scritta? ”L’arte della Felicità – Sei emozioni per pianoforte”, il nuovo libro – esperienza di Antonio Fresa, offre una delle possibili risposte e lo fa con le parole, l’intuito, il buon gusto e gli strumenti di un “musicista orizzontale” (l’autore mi perdonerà la citazione reloaded di un suo album, “Piano Verticale”) avvezzo alle visioni panoramiche dei belvedere napoletani, dove l’ispirazione sopraggiunge leggera come un canto che arriva dal mare.
Il volume, pubblicato da ChiPiùNeArt Edizioni (pagine 78, 14€), nasce da un percorso artistico che ha già vissuto più dimensioni: prima come colonna sonora del film d’animazione “L’arte della felicità” di Alessandro Rak, poi come docuserie RAI (visibile su RaiPlay), infine come concerto-spettacolo in tour, in cui musica dal vivo, immagini, parole e filosofia si incontrano in una narrazione multistrato, che mescola ricordi, aneddoti e riflessioni che dal personale aprono sempre all’universale, facendoci riflettere su come le emozioni siano in realtà una grande trama sulla quale ciascuno di noi tesse l’ordito della propria esperienza di vita.
“Mala tempora currunt” in ogni angolo del mondo, eppure (o forse proprio per questo) la parola felicità è oggi una delle più inflazionate e fra temi più abusati dalla cultura di massa. Il terreno è scivolosissimo insomma, ma Fresa trova un innesco narrativo semplice e immediato, quello del proprio vissuto, che lo libera dal pericolo dell’ovvietà, scegliendo di tratteggiare con piccoli tocchi impressionisti i contorni delle sei emozioni fondamentali: paura, orgoglio, tristezza, rabbia, amore e felicità. Nessuna verità assoluta, ma semplice osservazione e rielaborazione artistica di quelle vibrazioni e riflessioni che gli stati d’animo fanno nascere negli animi sensibili.
Ciascun capitolo è un invito a fermarsi, ad ascoltare, a riconoscere “a pelle” quel sentire che spesso si tende a semplificare o a nascondere. Lo stile è asciutto, ma coinvolgente, a tratti evocativo, ma mai enfatico. Le citazioni – da Murakami a Sant’Agostino, da Dante a Omero – sono strumenti che ci aiutano ad aprire nuovi spiragli, ci incuriosiscono e ci aiutano ad allargare la visuale, così come i brani musicali, gli spezzoni di film e le suggestioni visive che possiamo attivare tramite QR code, come una sorta di telecomando sentimentale.
Le emozioni, ci ricorda l’autore, non sono solo stati d’animo, ma chiavi di lettura del vivere: “Ho sempre pensato alla musica come a un ponte tra le emozioni e le storie che le contengono. Con questo libro ho fatto il viaggio inverso: dalla musica alla parola, dallo spartito alla pagina”.
Trattandole come veri e propri movimenti di una partitura interiore, Fresa le fa entrare in scena in modo inedito, raccontandole attraverso la sua esperienza di artista poliedrico che attinge ai linguaggi che frequenta nella vita e nella professione: la musica, il cinema, la televisione, le relazioni umane e lo fa con quel leggero disincanto che un figlio di Napoli porta sempre con sé, non come fardello, ma come kit di sopravvivenza.
Antonio Fresa in dialogo con Rosario Pellecchia durante la presentazione de L’Arte della Felicità a Milano a Lepontina8, il 29 Maggio scorso
E così, dalla cassetta degli attrezzi del “perfetto survivor emozionale”, l’autore estrae acute riflessioni e divertenti invenzioni. Utilizza l’esempio delle note basse e delle dissonanze per parlarci della paura. Sceglie il tema de “La battaglia di Vincenzo” sulle immagini del docufilm “4 Giorni per la libertà” di Massimo Ferrari per affrontare il tema dell’”orgoglio”. Per trattare la “tristezza” si produce al piano in un’avventurosa variazione in minore della Felicità musicale più celebre dell’universo Pop, quella firmata Al Bano e Romina, rendendo evidente che le contrapposizioni sono l’anima dei sentimenti. L’amore è evocato invece dalla toccante metafora delle costellazioni, quelle persone a cui ci sentiamo più legati e che come fili si incrociano creando solide reti di protezione affettiva. Fresa ci racconta poi della rabbia tirando in ballo a sorpresa il sentimento della tenerezza ed evocando quell’abbraccio che tanti di noi avrebbero voluto ricevere in un momento di forte collera. Un abbraccio che, in certi momenti, può ristorarci in modo talmente profondo da farci vivere un attimo di intensa… “felicità”, che è poi l’ultimo movimento del libro e quello che in fondo fa sintesi dei primi cinque grazie al ricordo commovente di un regalo che da New York City arriva a Napoli, cambiando per sempre il destino dell’autore.
Eppure, nonostante i suggerimenti, i rimandi, il ricorso ad esempi di grandi autori della musica e del cinema, Fresa torna sempre a raccomandarci di sintonizzare le sue parole sul nostro vivere, perché è proprio l’esperienza che facciamo ogni giorno di noi stessi e del mondo che ci rende uomini e ci distingue dalle macchine e dalle sempre più pervasive intelligenze artificiali.
Con l’Arte della Felicità, Antonio Fresa firma un’opera personale e molto originale. Parlo volutamente di opera nonostante il piccolissimo formato proprio perché la inquadro nel più ampio contesto artistico multimediale e ipermediale in cui è stata concepita, anzi direi proprio orchestrata. La sua formazione classica e la sua sensibilità contemporanea si riflettono nel modo in cui, sotto traccia, affronta il tema dell’educazione emotiva, senza mai cedere alla tentazione della semplificazione. Un libro che avremo sempre il piacere di sfogliare come un atlante in cui navigare alla ricerca del nostro stato d’animo, anche con l’ausilio di quella tecnologia che oggi promette di farci rimanere sempre connessi. Purtroppo non sempre con noi stessi.
Antonio Fresa: musicista, direttore d’orchestra e compositore di colonne sonore per cinema e tv. Nasce a Napoli nel 1973 e i suoi amori musicali sono Roberto De Simone, Pino Daniele, Frank Sinatra e i Pink Floyd. Tra le sue creazioni, le Vatican Chapels e il Labirinto di Borges alla Fondazione Cini di Venezia, le musiche originali per il Pantheon di Roma e per il Museo del Tesoro di San Gennaro a Napoli. Da solista realizza l’album “Piano verticale”. Collabora con Ornella Vanoni, Joe Barbieri, Bungaro, Carl Anderson, Kantango, Fabrizio Fiore, Nino Buonocore, Pasquale Catalano. Firmato colonne sonore per i film di Antonietta De Lillo, Stefano Incerti, Alessandro Rak, Anselma Dall’Olio, Vincenzo Marra e per Reliving at Pompeii con la supervisione del regista Adrian Maben, sorta di making of di Pink Floyd: Live at Pompeii del 1971. Più volte in nomination, ai David di Donatello e ai Nastri d’Argento. Vincitore del SIAE Music Awards 2024 per le musiche del film-tv “I cacciatori del cielo”.
Personalità creativa e poliedrica, Valentina Gramazio è una cantante, songwriter, performer, giornalista, discografica indipendente, pubblicitaria e instancabile operatrice culturale attiva in Lombardia, in Veneto e in Sicilia. Socia dell’etichetta Jazzy Records e titolare della sua Boutique Creativa Gramazio adv che si occupa di comunicazione e promozione culturale, è anche produttrice di eventi legati alla valorizzazione della musica Jazz. È un’appassionata di musica, arte, letteratura, fotografia e cinema. Ama i fiori ma non ha il pollice verde, tuttavia coltiva l’arte dell’umorismo e quella del buon umore, che non sono necessariamente sinonimi.
Tonino Guerra è il poeta che ha trasformato le colline romagnole in un palcoscenico per i sogni. Dalla sua terra natia, con la sua penna delicata e la sua visione poetica, ha incantato il mondo con le sue storie, lasciando un’eredità indelebile nel cinema italiano. Scopriamo insieme ad Anna Maria Geraci, che si dedica da alcuni anni a mantenerne viva la memoria, il suo straordinario percorso, tra poesia, cinema e impegno civile. Nell’articolo troviamo contributi dell’artista Marialisa Leone, che del Maestro è stata grande amica e un accorato appello della moglie Lora Guerra.
Di Anna Maria Geraci
«C’era un angelo coi baffi / che non era capace di far niente/ e invece di volare attorno al Signore/ veniva giù nel Marecchia/ dentro la casa di un cacciatore/ che teneva gli uccelli impagliati/ in piedi sul pavimento di un camerone./ E l’angelo gli buttava il granoturco/per vedere se lo mangiavano./ E dai, e dai/ con tutti i Santi che ridevano dei suoi sbagli/una mattina gli uccelli impagliati/ hanno aperto le ali/ e hanno preso il volo/ fuori dalle finestre dentro l’aria del cielo/ e cantavano come non mai».
[L’angelo coi baffi, Un ànzal si bafi, in Guerra T., L’albero dell’acqua (dedicato soprattutto a Ezra Pound), Scheiwiller, Milano, 1992].
Tonino Guerra (1920 – 2012 Santarcangelo di Romagna) è stato uno scrittore, poeta e uno sceneggiatore italiano con più di centoventi film alle spalle. È un attivista, artista, ma soprattutto poeta, un autore con una penna delicata, amante della natura, delle tradizioni contadine e difensore della bellezza del creato. Nato a Santarcangelo di Romagna, vicino Rimini, Guerra ha collaborato con tutti i più grandi nomi dello spettacolo e del cinema nazionale e internazionale, fra cui Michelangelo Antonioni, Federico Fellini, Andrei Tarkovskij, Mario Monicelli, Theo Angelopoulos e Wim Wenders. Fra le sue opere più celebri: L’aquilone, scritto con Michelangelo Antonioni (Maggioli, 1982), I bu (Rizzoli, 1972), Il polverone (Bompiani, 1978), Il Miele (Maggioli, 1981), Piove sul diluvio (Capitani, 1997), oltre che la fortunata saga di Millemosche, sette volumi umoristici e antiretorici pubblicati tra il 1969 e il 1974, insieme a Luigi Malerba.
«La crisi dell’individuo di Guerra, malinconico e speranzoso, parte dalle radici del neorealismo e attraversa ogni genere, dalla commedia al cinema d’autore, passando, con disinvoltura, dai film di denuncia politica e impegno civico ai cartoni animati e le pubblicità dei primi anni Duemila. La formula del suo successo è semplice e autentica: la poesia, le immagini come simboli, la lentezza dei movimenti, la tenerezza per la terra, per ogni essere vivente e l’importanza del sogno. «Un confessore laico, un interlocutore evidentemente indispensabile a stimolare l’immaginario dei grandi visionari del cinema europeo»: così il critico e collega Cosulich sintetizza l’operato di Guerra in campo cinematografico».
Foto di Vera Klokova
[Geraci A. M., Mangiare una farfalla: cinema e poesia di Tonino Guerra, Il Ponte Vecchio, Città di Castello, 2024, p. 90.] Durante gli anni della Seconda guerra mondiale, mentre Guerra era studente, viene catturato e deportato al campo di lavoro di Troisdorf, in Germania e, per tenere compagnia agli altri prigionieri, inventa poesie e racconti. Fra questi, la lirica La farfalla, onnipresente simbolo di libertà e bellezza della farfalla e l’utilizzo del dialetto come lingua delle radici e della memoria.
Guerra: «Questo è il poeta, vede le cose dove non ci sono».
[Leone M., E adesso ti regalo una storia. Conversazioni quasi sempre telefoniche con Tonino Guerra, Neos Edizioni, Rivoli (TO), 2016, p. 129] Quella poesia che ha dentro, Guerra la presterà, come sceneggiatore, anche al grande cinema nostrano e non solo, collezionando una quantità considerevole di premi e riconoscimenti da tutto il mondo, specialmente dalla Russia, fra questi si possono citare: un Premio Oscar al miglior film straniero per Amarcord (1975, scritto insieme a Fellini), quattro David di Donatello e cinque Nastri d’Argento alla miglior sceneggiatura. In Russia, sua patria di adozione, conosce la moglie Eleonora Kreindlina, oggi amorevole custode della loro casa museo La casa dei Mandorli a Pennabilli (Rimini). Pennabilli, nell’entroterra riminese, vicino San Marino, è un posto magico, una perla del Montefeltro e della Valle del Marecchia, dove Tonino, dopo i successi romani, decise di stabilire la sua dimora.
Leone M.: «A Pennabilli nel “mondo” di Tonino Guerra. Un senso caldo di casa, atmosfera nata attorno a un’unica idea. L’omaggio alla bellezza e alla magia dell’incontro. Con la materia, con la parola. Tele, luci, stoffe, carte, argilla, legno, ferro, acqua. Gli armadiacci, gli arazzi, le parole, le parole sulla tela, i libri, le brocche, le porte, le lanterne di Tolstoj. Nell’antica pietra del Convento della Misericordia [Sede dell’Associazione culturale Tonino Guerra, oggi Via dei Fossi, n° 4], sono accolte le opere di tanti artisti russi, donate al maestro nei suoi lunghi anni. Una piccola platea con venti sedie, cuscini di farfalla, fa pensare a un pubblico di studenti e di amici. [….] [A Pennabilli] incontro una semina di segni, parole sui muri per ricordare chi ci ha abitato, gesti di attenzione, meridiane sulle pareti delle case, il sogno del Giardino dei Frutti Dimenticati, dove sculture vivono con vecchi peri, meli, sorbi, e profumi di erbe, luccicori di mosaico, alberi magici che stillano acqua. Delicati segni, omaggi di un poeta profondamente legato ai luoghi e alla loro anima».
[Leone M., op. cit., p. 7] Oltre Pennabilli, fornita di un museo permanente in suo ricordo (Il mondo di Tonino Guerra), altre località della zona vantano una chiara impronta guerriana, ad esempio: Santarcangelo di Romagna, Cervia, Petrella Guidi, Riccione e Sant’Agata Feltria, Rimini, Ravenna. Attualmente, la memoria del maestro è conservata e preservata, oltre che dalla moglie, dall’Associazione Tonino Guerra e, ultimamente, anche dal gruppo Facebook Tonino Guerra Per Sempre, che ha promosso l’appello “Una poltrona per Tonino” per dedicare, al Cinema Modernissimo di Bologna, una poltrona in onore del poeta.
Recentemente, anche Lora, la vedova di Guerra, ha lanciato un appello, tramite social, alle istituzioni per salvaguardare la memoria del maestro e salvare i posti a lui dedicati.
Lora Guerra: << […] Sono riuscita ad ottenere due riconoscimenti per la casa museo di Tonino Guerra. È stata riconosciuta come casa delle persone illustri dell’Emilia-Romagna e come casa della memoria d’Italia. Molto prima abbiamo ricevuto dall’Accademia del cinema europeo la targa dove è scritto che questa casa e questo posto a Pennabilli sono molto importanti per la storia del cinema europeo. Ma più di questo non riesco a fare. Ho incontrato il Sig. Felicori, con il quale avevo un appuntamento online, al quale era presente anche Emma Petitti, chiedendo alla Regione Emilia-Romagna di prendersi cura di questo posto e, soprattutto, della casa museo di Tonino. Magari la Regione potrebbe acquistare questa casa aiutata da qualche Banca o da un Ente dell’Emilia-Romagna o da un imprenditore privato perché questa casa possa rimanere anche dopo la mia scomparsa un posto pubblico per tutti i visitatori che vorrebbero vedere la casa museo di Tonino Guerra. I soldi ricavati potrebbero servire, oltre che per il restauro della casa, anche per lo stipendio di un segretario o segretaria per poter svolgere i programmi culturali e anche comunicare con le altre case museo dell’Emilia-Romagna. Io sogno che sarà fatto un percorso turistico dal Castello Malatesta, dove risiede il museo di Federico Fellini, fino al “mare verde”, come diceva Tonino, del Montefeltro, arrivando alla casa del Poeta. Ho scritto chiedendo un aiuto a tutti gli amici di Tonino che potrebbero aiutare in questa impresa non facile, soprattutto oggi. Spero tanto che Vittorio Sgarbi, Carlin Petrini, Farinelli, Oscar Farinetti (che mi ha risposto suggerendomi di chiedere tutto ciò in Emilia Romagna con la quale lui non c’entra niente) o Wim Wenders (che mi ha risposto in maniera molto gentile) e tutti gli altri ai quali ho scritto e che non hanno risposto, possano dare alcuni consigli. […]
Tonino è nato nella piccola Santarcangelo, una cittadina che ha cercato di salvare due volte, quando dopo la guerra volevano distruggere le contrade da Tonino sono venuti tutti i nuovi dirigenti comunali, buoni ragazzi, come diceva lui, e hanno detto a Tonino di aver avuto una idea geniale “buttiamo già tutte le contrade e costruiremo un ospedale per tutti, grande e bello”. Tonino ha risposto: “voi siete pazzi ragazzi. Se distruggiamo il passato, distruggiamo anche il nostro futuro”. Adesso a Santarcangelo già da due anni è chiuso il museo di Tonino, museo privato, creato dall’Associazione di Tonino Guerra. Nella casa dei Poeti non c’è l’archivio letterario che lui ha destinato a Santarcangelo. Dalla Pro Loco, in dieci anni di guida da parte dei buoni ragazzi che guidavano il paese, non è stata fatta nessuno mostra dedicata a Tonino Guerra. La mia proposta è stata questa: fare una mostra dedicata a Tonino nella Casa della Poesia riportando l’archivio letterario in modo da ritrovarsi con poeti, amici e i grandi poeti dialettali di Santarcangelo e anche, al più presto possibile, riparare le infiltrazioni dell’acqua nel monte della pietà dove il povero cavallo di legno piange di notte aspettando la riapertura delle porte. La guida della Loco potrebbe spiegare là ai turisti che Tonino ha creato per il paese due fontane, ha inventato esteticamente la Sangiovesa, dove c’è ancora il ristorante che appartiene a Manlio Maggioli, liberando, con il sindaco Cristina, la piazza Ganganelli dalle macchine. Sui muri di Santarcangelo sono appese le targhe che raccontano le storie dei personaggi del paese. Anche il ristorante Zaghini è allestito da quadri e stampe basate sui disegni di Tonino ed è la memoria storica di tutti i personaggi che ha portato Tonino a Santarcangelo. Per l’ancora più povera Pennabilli Tonino ha creato i luoghi dell’anima con tutti gli amici. Anche il famoso orto dei frutti dimenticati ha bisogno di cura continua e il museo ha bisogno della presenza fissa di una segretaria o di un segretario che potrà svolgere un lavoro continuo, come succede in tutti i musei del mondo, e non basarsi solo su volontari o persone che ricompenso io. Non avendo alle spalle delle grandi città Tonino aspetta la sua gente di Romagna, nonostante i suoi libri non siano stati stampati negli ultimi sei anni, continuano a venire persone che mi riconoscono per la strada e dicono: “Tonino era un grande uomo, il maestro della vita”. Abbiamo bisogno adesso dei maestri della vita perché abbiamo perso tutti gli ideali e la fede nella cultura e nella bellezza che difendeva Tonino Guerra. Nell’ultimo periodo ripeteva sempre “La bellezza è già una preghiera”. Spero che qualcosa arriverà dall’amministrazione attuale di Pennabilli che ha “le orecchie tappate” nei confronti della cultura>>.
Tonino Guerra «Io sarò utile dopo. Sarò utile poi. Quando all’umanità serviranno le favole e quando l’infanzia conquisterà di nuovo la fantasia che le è stata sottratta dalla modernità».
Chi è l’autore
Anna Maria Geraci, nata nel 1999, è laureata in Letteratura, Lingua e Cultura Italiana, curr. Filologico, e vive a Milazzo (ME). È un’appassionata di lettura, teatro e giornalismo. Amante della natura e del trekking, ha prestato servizio come capo scout nella sua città. Da alcuni anni si dedica allo studio e alla ricerca di uno dei suoi poeti preferiti, il poliedrico Tonino Guerra. A lui ha dedicato il suo saggio “Mangiare una farfalla: cinema e poesia di Tonino Guerra” (Società Editrice Il Ponte Vecchio, 2024). Oggi cura, come amministratrice, il gruppo Facebook “Tonino Guerra Per Sempre”.
Modica, cuore nobile della Sicilia barocca, accoglie in questi giorni a Palazzo De Leva “This Must be the Place”, mostra del fotografo Ruggero Ruggieri. Inaugurata il 12 ottobre e visitabile fino a domenica 27, il progetto indaga l’anima più profonda dell’uomo e del mondo che lo circonda.
“This Must Be the Place”: il titolo della mostra è un omaggio al film di Paolo Sorrentino interpretato da uno Sean Penn trasfigurato nell’icona anni ’80 Robert Smith della band The Cure e ci racconta già molto dell’intento narrativo di Ruggero Ruggieri, fotografo trevigiano con radici modicane, protagonista di un’importante mostra in uno degli indirizzi più affascinanti di Modica, Palazzo de Leva. Tuttavia qui ci troviamo di fronte a una doppia citazione, perché “This Must be the Place” è a sua volta il titolo del brano che David Byrne scrisse nel 1983 per i suoi Talking Heads. È un ben orchestrato gioco di specchi insomma: le impressioni emotive del passato creativo, folle e visionario targato anni ’80, si riflettono e si moltiplicano in una serie di nuove immagini che tracciano un percorso di introspezione, dove la manipolazione fotografica operata da Ruggieri diventa una porta per accedere a significati altri. Lo sottolineano egregiamente le parole del curatore di questa esposizione, Giuseppe Cicozzetti:
“La fotografia di Ruggero Ruggieri, dopo che l’osservatore ha superato ogni naturale vertigine, spiega come le manipolazioni siano un elemento funzionale alla ricerca visuale. Non c’è dubbio che l’autore, la sua ricerca lo dimostra, si scosti dalla semplice raffigurazione del reale e che trasformi un dato, un dettaglio, un volto per inserirli in un quadro concettuale. La realtà dunque ne esce trasfigurata, piegata alle intenzioni del fotografo.
Con questa mostra modicana Ruggieri celebra due decenni di carriera dedicata alla fotografia come ricerca dell’essenza; Giuseppe Cicozzetti ha saputo valorizzare la complessità di questo lavoro, contestualizzandolo nel più ampio percorso dell’autore, sottolineando come le sue fotografie non siano semplici rappresentazioni della realtà, ma piuttosto uno strumento di indagine esistenziale, in cui ciascuno può ritrovare frammenti di sé e del proprio vissuto. Attraverso scatti che catturano l’ordinario, il quotidiano, la notte, l’artista ci invita a riflettere su ciò che siamo e su ciò che ci circonda. L’identità, tema centrale dell’esposizione, è declinata in mille sfumature. Non si tratta solo dell’identità individuale, ma anche di quella collettiva, di quella di un luogo, di una cultura. Dal testo critico del curatore:
Ruggero Ruggieri è abile a evitare le trappole che possano accostarlo a una fotografia piana: i suoi dubbi circa l’identità, gli stessi che girano intorno al trono del “chi siamo”, sono i nostri e non se ne allontana: il terribile e il grandioso si uniscono per convincerci che siamo altro da quello che vediamo nel riflesso di uno specchio, che l’identità altro non è che un apparato liquido, pronto a mutare.
Le immagini di Ruggieri, oltre la semplice rappresentazione visiva, ci spingono a interrogarci sul senso del tempo, della vita, dell’esistenza stessa. Può una fotografia porci una domanda? Certamente sì, anzi è il suo compito: This Must be the Place?
la locandina della mostra
Immagini dal Vernissage del 12 ottobre
Fotografie di Francesco Pitino scattate durante l’inaugurazione della mostra di Ruggero Ruggeri a Palazzo De Leva , Modica, pubblicate per gentile concessione dll’autore
Chi è Ruggero Ruggieri
Ruggero Ruggieri è un artista di fama internazionale, le cui opere sono state esposte in prestigiose gallerie e musei. La sua partecipazione a numerose mostre collettive e personali in Italia e in Europa, nonché la presenza delle sue fotografie nella collezione permanente del Museo della Fotografia di Charleroi, testimoniano il suo talento e la sua capacità di emozionare il pubblico. La mostra a Modica è un’occasione unica per immergersi nel suo mondo visionario. un’esperienza che non può mancare per tutti gli appassionati di fotografia e per coloro che desiderano intraprendere un viaggio alla scoperta di sé stessi.
Info utili per visitare la mostra
RUGGERO RUGGIERI – THIS MUST BE THE PLACE
Dove: Palazzo De Leva, via De Leva 14, Modica Quando: fino al 27 ottobre Orari: dal giovedì alla domenica, 17:00-20:00 Ingresso: gratuito
Personalità creativa e poliedrica, Valentina Gramazio è una cantante, songwriter, performer, giornalista, discografica indipendente, pubblicitaria e instancabile operatrice culturale attiva in Lombardia, in Veneto e in Sicilia. Socia dell’etichetta Jazzy Records e titolare della sua Boutique Creativa Gramazio adv che si occupa di comunicazione e promozione culturale, è anche produttrice di eventi legati alla valorizzazione della musica Jazz. È un’appassionata di musica, arte, letteratura, fotografia e cinema. Ama i fiori ma non ha il pollice verde, tuttavia coltiva l’arte dell’umorismo e quella del buon umore, che non sono necessariamente sinonimi.
MILANO – La galleria Maiocchi15 inaugura giovedì 27 ottobre, dalle ore 19 in via Maiocchi 15 a Milano, la mostra “Giant Steps”, esposizione personale delle opere di Alessandro Curadi. La serata sarà accompagnata da un’esibizione musicale jazz.
In mostra saranno esposte una quindicina di opere uniche dell’artista contemporaneo, dedicate al mondo del jazz e realizzate ad olio e acrilico su tela.
Alessandro Curadi presenta durante l’esposizione il suo lavoro in studio: sono ritratti a figura intera di famosi personaggi del Jazz che si stagliano su uno sfondo di colore uniforme, per mettere in risalto la figura o il singolo strumento.
Emoziona questa carrellata di musicisti che, presi singolarmente, vivono di vita propria, talvolta con le pulsazioni di una tromba, talvolta attraverso un sax o una chitarra. Diventano, anche per i non musicofili, immagini iconiche del sassofonista o del trombettista in sé, al di là che si tratti di John Coltrane o di Miles Davis e così questi protagonisti, questi strumenti, queste icone diventano quadri musicali che animano lo spazio “estetico” circostante.
Miles Davis, olio e colori acrilici su tela, 100×150 cm
Art Blakey, olio e colori acrilici su tela, 100×150 cm
Musica e pittura parlano lo stesso linguaggio, viaggiano nella stessa direzione, tanto che pare di poter ascoltare le tele stesse. Su questo binario di scambio simbiotico non c’è quasi differenza: le vibrazioni di un sassofono e quelle di un blu profondo, il tocco caldo di una chitarra e un giallo assolato, ma anche accostamenti emotivi più forti e inusuali, che rendono vibrante e vivo l’accordo di note e colore.
Alessandro Curadi ha unito la sua passione per la musica a quella per l’arte in unico percorso creativo: fin dal 2010 ritrae i musicisti durante i concerti. Dipinge in diretta, spesso in condizioni del tutto precarie di luce e spazio, in pose quasi acrobatiche per tenere in equilibrio fogli, colori, acqua e pennelli. I suoi acquarelli sono il risultato magico di un’unica performance, un doppio live.
Un vero e proprio reportage pittorico, unico nel suo genere, che ha portato Curadi a ritrarre i più noti musicisti del panorama jazz e rock internazionale, collaborando con importanti riviste e piattaforme di settore.
Il vernissage di apertura sarà accompagnato da un’esibizione musicale jazz: il visitatore potrà godersi, quindi, un’esperienza artistica completa: note musicali e pennellate di colore dialogheranno davanti ai nostri occhi, le tele prenderanno vita, la musica avvolgerà e colorerà il momento di un tono jazz irresistibile.
Il duo sax, Francesco Mazzali e Luca Magnani, propone un repertorio che spazia dagli standard a sonorità sudamericane a contaminazioni barocche, tutto in chiave improvvisativa
Alessandro Curadi
Se si domandasse ad Alessandro Curadi se sia stato attratto prima dalla musica o dalla pittura, lui stesso si stupirebbe nel constatare la simultaneità di queste due passioni o necessità, al punto che hanno assunto, nel suo percorso, un’unica strada per cui egli insegue e cattura volti a suon di musica o racconta la musica a suon di volti e ciò avviene anche nei ritratti che non riguardano musicisti, dove si percepisce un andamento musicale, una metrica o ritmica del colore e del gesto. Musica e pittura parlano lo stesso linguaggio, viaggiano nella stessa direzione, tanto che pare di poterli ascoltare questi quadri musicali.
Su questo binario di scambio simbiotico non c’è quasi differenza: le vibrazioni di un sassofono e quelle di un blu profondo, il tocco caldo di una chitarra e un giallo assolato, ma anche accostamenti emotivi più forti ed inusuali, che rendono vibrante e vivo questo accordo di note e colore.
Curadi racconta e dipinge con un minimalismo sapiente, in un gioco a levare, quasi a suggerire le linee, all’inseguimento ostinato di ciò che sfugge, che non si fa prendere, che si può solo afferrare con l’emozione.
Percorrere le vie di un volto e le sue strade interne, gli angoli nascosti, è come viaggiare dentro l’uomo, nelle pieghe del vissuto, nelle trame dell’anima.
Oltre al lavoro in studio Curadi ritrae i musicisti proprio mentre suonano: musica e pittura in un’unica performance, in un doppio live, con tutta la magia del creare senza rete, in diretta durante il concerto.
Impalpabili sensazioni sonore si traducono in macchie visive e corporee, l’astratta fisicità del suono si materializza, combinandosi con acqua, luce e colore in istantanee sempre nuove, sintesi di suono e visione. E attimo, irripetibile.
I ritratti dal vivo colpiscono per la loro felice ‘impressione’: pochi tocchi, pochi tratti e prende vita l’anima di un volto, la sua essenza. Il dettato intimo, interno, il musicista visto e sentito dal pittore È singolare il tentativo, l’ambizione e anche la follia di dare suono a un dipinto o di dare volto a un suono.
Di che colore è la musica? Che suono ha la pittura?
Non ci interessa la risposta, ci piace lasciare in sospeso la domanda e accoglierne la provocazione.
Buona visione e buon ascolto.
Giant Steps – Alessandro Curadi
Dove
Maiocchi15, Via Maiocchi 15, 20129 – Milano. Tel: 02.23184910. Email: maiocchi15@gmail.com
Quando
Inaugurazione: Giovedì 27 ottobre 2022, dalle ore 19.00. Apertura al pubblico: dal 27 ottobre al 10 novembre 2022 (dal lunedì al sabato: 9.30 – 13 e 14.30 – 19.30)
Dal 12 al 18 febbraio 2022 la galleria ART GAP ospita nel nuovo spazio espositivo, nel cuore di Roma a due passi da Piazza Largo Argentina, la mostra “IBERISMOS” di Sacramento Almansa, Julia Gallego, Miguel García Martín, Javier Santana, a cura di Federica Fabrizi e Claudio Fiorentini, direttore della galleria spagnola Captaloona Art.
Comunicato stampa
Sacramento Almansa, tecnica mista su tela 50×40 cm
Julia Gallego, diplomata in Belle Arti all’università di Salamanca nel 1997, completa la sua formazione artistica con numerosi corsi e borse di studio in Spagna, Grecia, Messico e Uruguay. Le sue opere, a metà tra figurative e astratte, ricreano spazi naturali in cui l’unico protagonista è il paesaggio. Luoghi dell’immaginazione in cui, con un linguaggio aperto che invita all’interpretazione, si riflettono le emozioni ancestrali che trasmette la natura.
Miguel García Martín, 40×55 cm
Miguel García Martín focalizza la sua ricerca artistica da ciò che è immenso a ciò cheimmensamente piccolo isolando i minimi dettagli dal loro contesto per poi scoprire che tutto quello che esiste è specchio di quello che esiste e che l’universo non è poi tanto grande perché può riassumersi in una goccia di colore sul marciapiede.
Per Javier Santana il colore si stacca dal pennello per trasformarsi in una carezza furiosa, paradosso del momento creativo e riflesso dello stato contemplativo dell’artista, e dialoga con il silenzio dello spazio.
Per Sacramento Almansa l’opera artistica parte dal principio: Non bisogna copiare dalla natura, l’arte è un’astrazione che emerge dalla nostra propria natura, sognando davanti ad essa e pensando più al processo creativo che al risultato. Lo stile di Almansa si traccia nella libertà espressiva e nella ricerca di percorsi per il risveglio delle emozioni nascoste nel fruitore. Con colori primari, con bianco e nero, con tracce e gesti molto personali che denotano ricerca, inquietudine, conflitto… e quanto sia necessario comunicare tramite connotazioni di luce e colore, freddo e caldo, densità e leggerezza, ordine e caos.
Julia Gallego, tecnica mista su legno, 80×40 cm
Javier Santana, acrilico su tela, 100×82 cm
Art Gap (Roma, Via di Santa Maria in Monticelli 66)
Inaugura a Pozzallo (Rg) il 28 Novembre ARTIFERA il nuovo progetto dalla siciliana galleria d’arte contemporanea SACCA che prevede il coinvolgimento di tre cantine co-finanziatrici nella realizzazione di una collezione limited edition di cassette d’artista e una mostra nella sede della galleria con opere dei cinque artisti invitati.
Il titolo trae ispirazione dall’aggettivo vinifero altresì presente, nella sua declinazione al femminile, nel nome scientifico della vite (vitis vinifera). ARTIFERA pertanto vuole denotare un processo che produce arte, alludendo al tempo stesso al mondo del vino. Un progetto ideato e curato da Giovanni Scucces (storico dell’arte e giornalista) e reso possibile grazie alla collaborazione e al lavoro sinergico fra la sua galleria SACCA (Pozzallo), gli artisti Giuseppe Costa (1980, Palermo/Milano), Marilina Marchica (1984, Agrigento), Gabriele Salvo Buzzanca (1986, Barcellona Pozzo di Gotto/Venezia), Federico Severino (1990, Milano/Catania/Torino), Giuseppe Vassallo (1990, Palermo) e le aziende vitivinicole Di Giovanna (Contessa Entellina e Sambuca di Sicilia), Frasca (Modica) e Quignones (Licata).
Con ARTIFERA, quindi, l’arte incontra il vino in una collezione di cassette d’artista a tiratura limitata (25 o 35 esemplari per tipo + 5 p.d.a.) costituite da multipli d’arte ripresi con interventi manuali dagli artisti e da essi numerati e firmati. Un cofanetto in legno contenente due pregiate bottiglie di ciascuna cantina, prezioso e al tempo stesso accessibile a tutti, pensato per gli amanti dell’arte più raffinata e del buon vino. Ciascuna opera è realizzata su un coperchio estraibile in legno cosicché sarà possibile esporla unitamente al cofanetto o separatamente (con o senza cornice). Un’edizione che sicuramente non sfuggirà ai collezionisti di arte e a quelli del vino.
Federico Severino, Atmosfere, pastello ad olio su tela, cm 20,4×31,1, 2021
Numerose sono le testimonianze che ci giungono sul “nettare degli dei”, risalenti già ad alcuni millenni prima di Cristo. Svariate attestazioni ci arrivano da egizi, greci, romani e diverse citazioni sono presenti nella letteratura classica e nelle Sacre Scritture. E come non ricordare le tante raffigurazioni fornite da alcuni fra i maggiori artisti di ogni tempo relative al vino e al suo dio, Bacco (o Dìoniso per i greci). Inoltre la vite (e di conseguenza il vino) è una pianta presente in tutti i continenti (fatto escluso l’Antartide per ovvie ragioni climatiche), quindi ci piace pensare che sia qualcosa di “universale” come lo è, senza dubbio, l’arte.
Ciascun artista ha agito secondo il proprio gusto e stile, in totale libertà, lungi dall’idea di proporre opere “didascaliche”. Coinvolgere il mondo del vino e delle aziende vitivinicole è stato un modo per dare atto della tendenza che negli ultimi anni vede coniugare il settore dell’arte a quello dell’enologia (e più in generale un modo per rendere manifesto il beneficio che si può trarre dall’unione fra aziende e arte), oltre che per dar seguito all’idea stessa di SACCA, cioè unire più realtà eterogenee per creare contaminazione e relazioni inaspettate.
E proprio questo è accaduto con ARTIFERA: 5 artisti e 3 cantine, sotto la guida della galleria, hanno messo in piedi un progetto nuovo che confluirà in una mostra-evento in cui verranno esposti alcuni lavori degli artisti coinvolti, unitamente alle opere uniche e ai multipli che ne sono venuti fuori. Nella serata inaugurale, inoltre, verranno presentati anche i vini di ciascuna cantina scelti per il progetto.
Coniugare arte contemporanea e vino può rappresentare un ulteriore modo per promuovere la cultura artistica e il territorio in maniera nuova, diversa, valorizzando anche l’arte del nostro tempo, portandola nel quotidiano e in ambienti più familiari, in modo da evitare un’eccessiva autoreferenzialità e raggiungere anche coloro che non solo soliti frequentare i luoghi ad essa deputati. In questa maniera si attua un vero e proprio processo di sensibilizzazione del pubblico. Un pubblico trasversale ed eterogeneo attento alla qualità, sia essa riscontrabile in un’opera d’arte o in un vino.
Giuseppe Costa, Rocaille, pastelli e grafite su carta, cm 38×30, 2018
Gabriele Salvo Buzzanca, Vaporwine, olio su tela, cm 37,6 x 23,8, 2021
Marilina Marchica, PaperLandscape, tecnica mista e collage su tela, cm 61×46, 2021
Giuseppe Vassallo, Un fallace asintoto, olio su tavola, cm 30×20, 2021
Scheda
Appuntamento fissato per domenica 28 novembre alle ore 17 presso la galleria SACCA a Pozzallo per il vernissage della mostra e la presentazione delle cassette d’artista e dei vini abbinati. Saranno presenti le cantine e gli artisti coinvolti.
La mostra potrà essere visitata fino all’8 gennaio 2022 dal martedì al sabato dalle 16.30 alle 19.30 e i martedì e giovedì anche di mattina dalle 10 alle 13.
Le cassette d’artista saranno acquistabili anche collegandosi al sito della galleria http://www.sacca.online
Tenuta segreta fino al momento dell’inaugurazione della storica kermesse dedicata al tema “La natura ci salverà?”, la scultura resterà esposta fino al 17 Ottobre in Piazza Duomo.
“Le Alpi” di Paolo Borghi (Foto: Rachele Donati De Conti)
È stata un’inaugurazione a regola d’arte per I Mondi di Carta Festival, la kermesse multiculturale cremasca che sabato due ottobre scorso ha salutato la sua nona edizione, in programma fino a domenica dieci. Lo ha fatto reiterando un rituale originale, un’idea preziosa che illumina tutta la manifestazione con i bagliori della bellezza, ossia regalare alla città di Crema, anche se solo per pochi giorni, una scultura realizzata da un artista importante, un’opera che possa essere al tempo stesso sintesi e simbolodel tema, del “fil rouge” che guida il concatenarsi dei singoli eventi e che quest’anno è affidato al quesito: “La natura ci salverà?”.
“Un tema sfidante, così come lo sono stati gli ultimi due anni a livello globale e per la comunità di Crema, tanto duramente messa alla prova da una pandemia con strascichi ancora seri e che sta dimostrando quantola Terra sia un tutto interconnesso in cui i comportamenti dei singoli sono importanti al pari delle scelte strategiche delle Nazioni e dei loro governanti”, sottolinea il Presidente dei Mondi di Carta Enrico Tupone, ideatore della manifestazione figura di riferimento per tutto il gruppo dei soci.
Ed è stato proprio lui, supportato dalla figlia Isabella Tupone direttrice della galleria milanese Area\B e in collaborazione con Studio Copernico, a selezionare la magnifica veduta bronzea “Le Alpi” dell’artista Comasco Paolo Borghi e a tenere tutti all’oscuro di questa scelta fino al momento stesso dell’inaugurazione, quando il drappo rosso che la copre viene sollevato e rivela quindi il segreto così ben custodito. La “possente leggerezza” dell’opera di Borghi lascia tutti stupiti: è quasi come affacciarsi, in piena Piazza Duomo, da una terrazza a centinaia di metri di altezza.
Paolo Borghi impara dal padre, abile orafo e cesellatore, l’arte della lavorazione dei metalli.A partire dal 1958, si dedica completamente alla scultura, scegliendola come mezzo espressivo principale. Intorno al 1980, scopre la sua vera anima artistica, che affonda le sue radici nel classicismo delle forme, nell’indagine del mito e del sacro. Nel corso degli anni il suo lavoro diventa protagonista di importanti mostre e grandi committenze, alcune sue opere si trovano in permanenza al Mola Center di Los Angeles, in Texas, in Corea, sue sono anche le magnifiche porte in rame sbalzato della Basilica dei Santi Pietro e Paolo, a Milano, sua è la nuova monetazione del Vaticano e le innumerevoli opere di ispirazione sacra che adornano chiese e piazze italiane. “Le Alpi” è una fusione in bronzo realizzata nel 2003, che di recente è stata esposta presso l’incredibile contesto della Reggia di Venaria, a Torino, e arriva oggi a Crema, nell’altrettanto meravigliosa Piazza Del Duomo.“Le Alpi”, nel racconto dell’artista, usa il tramite di queste figure di ispirazione etrusca, per riprodurre il paesaggio alpino che l’artista vede dalla finestra del suo studio, che si trasforma qui in due soggetti uniti fra loro, quasi a formare un una figura unica, e fortemente radicati a terra, proprio come la maestosa catena montuosa che li ha ispirati. La forza suprema della natura è sintetizzata in una scultura dettagliata, a tratti delicata nei suoi particolari, ma assolutamente concreta e destinata a perdurare nel tempo, anche davanti alle intemperie del mondo. Con “Le Alpi” Borghi ragiona sul paesaggio che diviene corpo e sul corpo che diventa paesaggio. Costruisce mondi, assembla diversi momenti di un’esistenza e recupera i riferimenti di un’antichità che non smette di interessare e ispirare gli intelletti. L’attenzione per le vicende umane si consuma insieme a quella per la natura che diviene elemento parlante. I corpi distesi in riposo di due amanti fanno da preambolo allo svolgere dei rilievi montani: come gli dei che, stanchi, hanno da poco originato un intero universo.
Fonte: Pagina Facebook “I Mondi di Carta”
“Le Alpi” di Paolo Borghi (Foto: Luca Severgnini)
L’opera resterà esposta in Piazza Duomo a Crema per due settimane, fino al 17 Ottobre e sarà l’occasione per tutti per ammirare da vicino l’opera di un artista tanto importante quanto appassionato. Vegliato dalle due figure bronzee, I Mondi di Carta Festival darà corso ai tantissimi appuntamenti in programma negli storici e suggestivi spazi del Sant’Agostino-Museo Civico.Otto giorni di iniziative, circa venti differenti appuntamenti,una sfida alle precedenti edizioni, ciascuna unica, particolare, amata e ricordata per ragioni differenti. Letteratura, arte, musica, cucina, benessere e tanto altro: i Mondi continuano ad esplorare e a sorprendere, a inventare e a rischiare. Attesi nomi importanti della letteratura, della musica, della gastronomia della scienza e della comicità, fra cui la scrittrice Antonella Boralevi, il giornalista Mario Calabresi, l’immunologo Alberto Mantovani, il cuoco e conduttore televisivo Andrea Mainardi, il comico Germano Lanzoni. Enrico Bertolino,formidabile formatore e umorista chiuderà l’edizione 2021 con la sua tagliente, irresistibile ironia. I Mondi di Carta 2021 propongono dunque un palinsesto variegato e ricco di sorprese, a conferma della centralità di Crema e dei suoi operatori culturali come motore di iniziative prestigiose, una vera e propria vetrina di alto livello per il territorio, la sua bellezza, i suoi talenti.
Personalità creativa e poliedrica, Valentina Gramazio è una cantante, songwriter, performer, giornalista, discografica indipendente, pubblicitaria e instancabile operatrice culturale attiva in Lombardia, in Veneto e in Sicilia. Socia dell’etichetta Jazzy Records e titolare della sua Boutique Creativa Gramazio adv che si occupa di comunicazione e promozione culturale, è anche produttrice di eventi legati alla valorizzazione della musica Jazz. È un’appassionata di musica, arte, letteratura, fotografia e cinema. Ama i fiori ma non ha il pollice verde, tuttavia coltiva l’arte dell’umorismo e quella del buon umore, che non sono necessariamente sinonimi.
Compie quattro anni questo intervento artistico che prende spunto da un desiderio insistente e felice di Tonino Guerra.
Una specie di matrioska, già simbolo di fertilità della terra, nata con un’idea di Orto per anziani e diventata poi un Parco Museo della scultura all’aperto e un Giardino Botanico.
Il contenitore contenuto è il bel parco della Casa di Riposo RSA in via Zurla a Crema.
Tonino Guerra mi ripeteva: “c’è una cosa che non dobbiamo dimenticare, una cosa urgente. Fare l’orto nelle case di riposo. Ai vecchi bisogna dare qualcosa di vivo da vedere, da curare anche solo con gli occhi ogni giorno. Non quei giardini già fatti, di gusto inglese, lì non c’è niente da aspettare, qualche fiore, ma è roba d’altri. L’orto è un quadratino di terra possibile, le foglie di insalata crescono e si possono mangiare. Una melanzana viene a tavola, come un ravanello. Fate l’orto con gli anziani. Non aspettate, la vita si spegne in fretta e il vecchio ha bisogno di piccole cose vive per addormentarsi con un’immagine dolce, per tenere davanti agli occhi qualcosa che anche domani lentamente cresce. Stare vicino a una foglia può fare compagnia più della TV”.
Ho pensato a lungo a come poteva essere un orto per persone con difficoltà motorie, magari sospinte nel parco in carrozzella. Una cosa certamente da evitare la distanza dalla terra e tutto ciò che fosse spigoloso. Una condizione che sentivo fondamentale era creare una specie di immersione della persona nei profumi e nei colori e nelle consistenze del mondo vegetale. Fare in modo che potesse toccare le foglie, i frutti e sentirne gli umori e i profumi. Mettere ancora le mani nella terra.
Ho portato la terra, alzandola, a 90 centimetri, disegnando semplicemente undoppio ferro di cavallo in cui piantare e far crescere gli ortaggi, i fiori, le aromatiche.
Un grande canestro di quattro metri di diametro in cui chi entra, anche in carrozzella, può avere la terra all’altezza del busto. Può fare ogni operazione con la massima facilità, come su un normale piano di lavoro.
La realizzazione è stata laboriosa perché ho voluto usare i principi dell’intreccio adottando come essenza possibilmente forte e durevole il bambù. Ciò ha voluto dire predisporre all’intreccio delle strisce di vegetale che fossero flessibili, ricavandole da grosse canne freschecon un procedimento manuale veramente impegnativo e fortunatamente sostenuto da giovani braccia della locale scuola agraria. Ma il risultato fu ottimo. Una tessitura compatta, esteticamente bella e forte per contenere la spinta e il peso della terra.
Ortocanestro è una scultura funzionale. Un grande ventre. Il ventre di madre terra. Un impianto a lasagna che sfrutta materiale vegetale del giardino, strati di legname, sfalcio e terriccio, alternati.
In questi quattro anni, in collaborazione con le animatrici, l’orto ha permesso di condurre esperienze di tipo sensoriale che hanno coinvolto gli anziani in attività concrete, stimolando anche il pensiero a ripercorrere nella memoria periodi di adolescenza e gioventù in cascina.
Stando a lavorare nel parco mi capitò spesso di osservare gli ospiti nelle loro passeggiate in solitudine o accompagnati. Quasi sempre lo sguardo a terra, in una specie di raccoglimento isolato e interiore. Una condizione chesentivo avrei potuto rendere meno assillante con l’aiuto dell’arte. Serviva una visione che aprisse una breccia emotiva, che spostasse gli orizzonti piatti della tristezza verso piccoleimprovvise sorprese, come paesaggi inattesi che ti arrivano addosso e allora qualcosanel torpore può succedere, gli occhi si alzano verso una nuova dimensione, rispondendo a un richiamo.
Il Giardino della scultura sospesa
Il parco diventava nella mia immaginazione un luogo dove sospendere invenzioni, non solo facendole scendere dall’alto, ma pensandole come situazioni di sospensione del reale.
E così tenendo ferma questa visione ho iniziato a coinvolgere artisti che potessero condividere la stessa ispirazione. Con la preziosa collaborazione di 20 artisti, che in modo totalmente volontario hanno donato lavoro e opere, il Giardino si è venuto via via arricchendo di interventi realizzati secondo il principio dell’accettare che il tempo e la naturafacciano dell’opera qualcosa di mutevole. Gli artisti attraverso le installazioni hanno instaurato un dialogo profondo con il luogo e le opere respirano silenziosamente in una convivenza che le porta sempre più vicine alle origini. I materiali di cui sono fatte vivono un quasi ritorno. Il ferro di tavoli, sedili, animali fantastici, una casa, tutto si sta colorando di patine ruggine e nei tramonti sono fiamme di arancio vivo e bruni di ossidi che raccontano il ritorno alla terra. Mentre i legni in forma di totemche si calano dalle ombre dense, si fanno scavare dalle piogge e tingere dalle umidità. Altrove vetri sospesi e mossi dal vento, colpiti dalla luce gettano riflessi e movimenti di bagliori nell’aria. La scura magnolia ospita figurine in terra cotta, portatori di luce dondolano su piccole altalene. Un’anfora antropomorfa si fa notare nel centro del giardino per i racconti alla luna che regge in equilibrio sul capo, e per i suoi giochi spaziali.
Tra due alberi è tesa una grande farfalla fatta di aria e metallo, quasi un ricamo, variopinta presenza simbolica e generatrice di energie propizie. In vicinanzasta una piccola foresta di mare il cui verde turchese dei cinque alberi è opera della trascolorazione del rame.
Appoggiandole alle antiche mura due artisti hanno costruito tre grandi stelle di bambù, talmente alte possono guardare oltre verso oriente, suggerendo allo sguardo un punto di evasione.
Nella zona dell’Ortocanestro una artista ha collocato un custode, albero uomo seduto a proteggere dagli spiriti maligni. E non lontano la stessa artista ha sospeso un giardino che ci regala la doppia visione di foglie e radici.
Recentemente abbiamo saputo che negli anni ’50, ’60, in quel parco sostavano ospiti gli animali dei circhi, proprio lì vi scorre una piccola roggia che li abbeverava.
Due artisti hanno raccolto la suggestione e hanno realizzato unaleggerissima scultura di un cammello dal corpo di cruna. Attraversarlo porta fortuna. E ancor più vicina all’acqua di cui raccoglie i sussurri, galleggia una navicella del tempo,una culla bianca e flessuosa. La sostiene una magnifica sequoia.
Nell’erba, abitate da erbaggi e fiori, figure umane in rete metallica, così delicate da essere percepite come ombre, vivono tra le fronde della bella famiglia di aceri.
Non lontano in un angolo di raccoglimento creato da tavolo e sedia con tante pagine di libri, un lettore invisibile, ma può essere anche uno scrittore, si è scelto questo punto di osservazione.
Sotto un piccolo portico, protetto nel suo candore, un destriero in gessodalla esuberanza plastica, anima di nuova energia le presenze più appartate e silenziose.
E una sedia appartenuta a una madre, ha lasciato la dimensione terrena per sostare, imbrigliata in una tessitura metallica, sul tronco di un grande platano.
Il Giardino dei Verzellini
Nei lunghi periodi di lavoro non poteva sfuggirmi, in questo cuore verde della città, il valore e la bellezza delle essenze arboree. E lo stupore per i canti gioiosi e armonici di piccoli uccelli come i verzellini. Durante le mie soste di attività nel parco, passando le stagioni, ho visto fiorire alberi meravigliosi, ho visto la nudità dell’inverno giocare con le scure macchie dei pini e tutti gli ori e i rossi dell’autunno. Più volte mi sono detta che pochesono le persone che conoscono e godono della bellezza di questo luogo, e che un ulteriore motivo di incontro con gli ospiti della casa di riposo avrebbe potuto essere la creazione di un percorso botanico per la conoscenza delle piante e lo studio da parte di appassionati e di gruppi scolastici.
Ho sensibilizzato un esperto studioso di botanica che con grande generosità ha elaborato per noi la classificazione delle quaranta specie arboree presenti nel parco, per un complessivo numero di 84 tra alberi e arbusti. Il percorso è completo. Ogni albero ha il proprio nome scientifico inciso su una targa di ferro.
Ora non ci può sfuggire, l’ARTE e la TERRA sono fortemente intessute. E a tutti noi è dato di poter entrare in questa oasi piena di magia e di poter STARE VICINO A UNA FOGLIA.
Consulenza scientifica per il percorso botanico del Giardino dei verzellinia cura di Valerio Ferrari
Fin dagli anni settanta si dedica personalmente alla ricerca artistica pittorico plastica esprimendosi con un uso libero tra le varie tecniche, dal colore al gesso, dal materiale tessile all’acquerello. Lavora con Bruno Munari e la pratica dell’arte, avviando laboratori espressivi nelle attività curricolari, occupandosi anche come docente della formazione degli insegnanti. Negli anni 80 si dedica all’approfondimento della teoria e pratica pedagogica steineriana nell’arte. Con il maestro dell’astrattismo, Luigi Veronesi studia e produce grandi arazzi che partecipano a mostre in Italia e all’estero. Negli anni 90 fonda a Crema l’associazione culturale per l’arte Il Nodo dei Desideri, promuovendo progetti per la realizzazione di percorsi educativi e formativi nell’area espressiva (pittura, arti plastiche, teatro), rassegne, mostre ed eventi d’arte. Nella città di Crema ha realizzato percorsi artistici, curandone gli eventi con gli artisti Emanuele Luzzati, Marcello Chiarenza, Antonio Catalano. Scrive da oltre 20 anni per la rivista di teoria e critica delle arti Nuova Meta. Nel 2008 realizza, in collaborazione con l’Accademia delle Belle Arti di Brera, una mostra di pittura e poesia dello scrittore, sceneggiatore, artista Tonino Guerra, con la finalità di creare un momento di incontro tra le giovani generazioni e i grandi maestri. Nel 2016 pubblica con la casa editrice Neos di Torino “E adesso ti regalo una storia. Conversazioni quasi sempre telefoniche con Tonino Guerra”. L’ esperienza pittorico plastica sempre più intensa la porta a esporre in Italia e all’estero: Los Angeles, Messico, Spagna, Cina, Francia. Scrivono di lei Elena Pontiggia, Claudio Cerritelli, Silvia Merico, Tonino Guerra, F. Fernirosso.