L’Arte della Felicità: Antonio Fresa porta in libreria la sua partitura delle emozioni

L’Arte della Felicità: Antonio Fresa porta in libreria la sua partitura delle emozioni

È in libreria dal 12 Maggio scorso “L’Arte della felicità – 6 emozioni per pianoforte”, il nuovo libro del musicista e compositore Antonio Fresa. Un piccolo, prezioso volume pensato per essere letto e riletto con calma, proprio come un brano musicale o la scena di un film che rivela qualcosa di nuovo a ogni ascolto o visione. I QR code disseminati fra le pagine rimandano a contenuti audio e video, perché quando le parole non bastano, l’autore ricorre agli strumenti che gli sono più congeniali: la musica, le immagini, il pensiero “multimediale”. Valentina Gramazio l’ha letto, ascoltato e visto per voi: ecco la sua recensione

Che cosa succede quando un musicista abituato a comporre per il cinema, per il teatro, per le grandi architetture della storia italiana, decide di raccontare le emozioni in forma scritta?  ”L’arte della Felicità – Sei emozioni per pianoforte”, il nuovo libro – esperienza di Antonio Fresa, offre una delle possibili risposte e lo fa con le parole, l’intuito, il buon gusto e gli strumenti di un “musicista orizzontale” (l’autore mi perdonerà la citazione reloaded di un suo album, “Piano Verticale”) avvezzo alle visioni panoramiche dei belvedere napoletani, dove l’ispirazione sopraggiunge leggera come un canto che arriva dal mare. 

Il volume, pubblicato da ChiPiùNeArt Edizioni (pagine 78, 14€), nasce da un percorso artistico che ha già vissuto più dimensioni: prima come colonna sonora del film d’animazione “L’arte della felicità” di Alessandro Rak, poi come docuserie RAI (visibile su RaiPlay), infine come concerto-spettacolo in tour, in cui musica dal vivo, immagini, parole e filosofia si incontrano in una narrazione multistrato, che mescola ricordi, aneddoti e riflessioni che dal personale aprono sempre all’universale, facendoci riflettere su come le emozioni siano in realtà una grande trama sulla quale ciascuno di noi tesse l’ordito della propria esperienza di vita.

“Mala tempora currunt” in ogni angolo del mondo, eppure (o forse proprio per questo) la parola felicità è oggi una delle più inflazionate e fra temi più abusati dalla cultura di massa. Il terreno è scivolosissimo insomma, ma Fresa trova un innesco narrativo semplice e immediato, quello del proprio vissuto, che lo libera dal pericolo dell’ovvietà, scegliendo di tratteggiare con piccoli tocchi impressionisti i contorni delle sei emozioni fondamentali: paura, orgoglio, tristezza, rabbia, amore e felicità. Nessuna verità assoluta, ma semplice osservazione e rielaborazione artistica di quelle vibrazioni e riflessioni che gli stati d’animo fanno nascere negli animi sensibili.

Ciascun capitolo è un invito a fermarsi, ad ascoltare, a riconoscere “a pelle” quel sentire che spesso si tende a semplificare o a nascondere. Lo stile è asciutto, ma coinvolgente, a tratti evocativo, ma mai enfatico. Le citazioni – da Murakami a Sant’Agostino, da Dante a Omero – sono strumenti che ci aiutano ad aprire nuovi spiragli, ci incuriosiscono e ci aiutano ad allargare la visuale, così come i brani musicali, gli spezzoni di film e le suggestioni visive che possiamo attivare tramite QR code, come una sorta di telecomando sentimentale.

Le emozioni, ci ricorda l’autore, non sono solo stati d’animo, ma chiavi di lettura del vivere: “Ho sempre pensato alla musica come a un ponte tra le emozioni e le storie che le contengono. Con questo libro ho fatto il viaggio inverso: dalla musica alla parola, dallo spartito alla pagina”.

Trattandole come veri e propri movimenti di una partitura interiore, Fresa le fa entrare in scena in modo inedito, raccontandole attraverso la sua esperienza di artista poliedrico che attinge ai linguaggi che frequenta nella vita e nella professione: la musica, il cinema, la televisione, le relazioni umane e lo fa con quel leggero disincanto che un figlio di Napoli porta sempre con sé, non come fardello, ma come kit di sopravvivenza. 

Antonio Fresa in dialogo con Rosario Pellecchia durante la presentazione de L’Arte della Felicità
a Milano a Lepontina8, il 29 Maggio scorso

E così, dalla cassetta degli attrezzi del “perfetto survivor emozionale”, l’autore estrae acute riflessioni e divertenti invenzioni. Utilizza l’esempio delle note basse e delle dissonanze per parlarci della paura. Sceglie il tema de “La battaglia di Vincenzo” sulle immagini del docufilm “4 Giorni per la libertà” di Massimo Ferrari per affrontare il tema dell’”orgoglio”. Per trattare la “tristezza” si produce al piano in un’avventurosa variazione in minore della Felicità musicale più celebre dell’universo Pop, quella firmata Al Bano e Romina, rendendo evidente che le contrapposizioni sono l’anima dei sentimenti.  L’amore è evocato invece dalla toccante metafora delle costellazioni, quelle persone a cui ci sentiamo più legati e che come fili si incrociano creando solide reti di protezione affettiva. Fresa ci racconta poi della rabbia tirando in ballo a sorpresa il sentimento della tenerezza ed evocando quell’abbraccio che tanti di noi avrebbero voluto ricevere in un momento di forte collera. Un abbraccio che, in certi momenti, può ristorarci in modo talmente profondo da farci vivere un attimo di intensa… “felicità”, che è poi l’ultimo movimento del libro e quello che in fondo fa sintesi dei primi cinque grazie al ricordo commovente di un regalo che da New York City arriva a Napoli, cambiando per sempre il destino dell’autore.

Eppure, nonostante i suggerimenti, i rimandi, il ricorso ad esempi di grandi autori della musica e del cinema, Fresa torna sempre a raccomandarci di sintonizzare le sue parole sul nostro vivere, perché è proprio l’esperienza che facciamo ogni giorno di noi stessi e del mondo che ci rende uomini e ci distingue dalle macchine e dalle sempre più pervasive intelligenze artificiali.

Con l’Arte della Felicità, Antonio Fresa firma un’opera personale e molto originale. Parlo volutamente di opera nonostante il piccolissimo formato  proprio perché la inquadro nel più ampio contesto artistico multimediale e ipermediale in cui è stata concepita, anzi direi proprio orchestrata. La sua formazione classica e la sua sensibilità contemporanea si riflettono nel modo in cui, sotto traccia, affronta il tema dell’educazione emotiva, senza mai cedere alla tentazione della semplificazione. Un libro che avremo sempre il piacere di sfogliare come un atlante in cui navigare alla ricerca del nostro stato d’animo, anche con l’ausilio di quella tecnologia che oggi promette di farci rimanere sempre connessi. Purtroppo non sempre con noi stessi.

Chi è l’autore

Antonio Fresa: musicista, direttore d’orchestra e compositore di colonne sonore per cinema e tv. Nasce a Napoli nel 1973 e i suoi amori musicali sono Roberto De Simone, Pino Daniele, Frank Sinatra e i Pink Floyd. Tra le sue creazioni, le Vatican Chapels e il Labirinto di Borges alla Fondazione Cini di Venezia, le musiche originali per il Pantheon di Roma e per il Museo del Tesoro di San Gennaro a Napoli. Da solista realizza l’album “Piano verticale”. Collabora con Ornella Vanoni, Joe Barbieri, Bungaro, Carl Anderson, Kantango, Fabrizio Fiore, Nino Buonocore, Pasquale Catalano. Firmato colonne sonore per i film di Antonietta De Lillo, Stefano Incerti, Alessandro Rak, Anselma Dall’Olio, Vincenzo Marra e per Reliving at Pompeii con la supervisione del regista Adrian Maben, sorta di making of di Pink Floyd: Live at Pompeii del 1971. Più volte in nomination, ai David di Donatello e ai Nastri d’Argento. Vincitore del SIAE Music Awards 2024 per le musiche del film-tv “I cacciatori del cielo”.

 

Un mondo di improvvisazione

Un mondo di improvvisazione

Il termine “improvvisazione” potrebbe dare adito a diverse interpretazioni. In genere l’accezione comune del termine ci fa pensare ad una vera e propria creazione senza alcun fondamento e nessuna regola. Di fatto la vera “Improvvisazione” in campo artistico (non solo in quello musicale) consiste nel mettere insieme le norme naturali che regolano l’Arte in maniera creativa ed in taluni casi originale. Tutto ciò può avvenire o per mera casualità, o per assoluto talento dell’artista, o grazie alla profonda conoscenza dell’artista stesso circa la disciplina da lui praticata.

In campo musicale l’Improvvisazione è il vero sinonimo della composizione. Prescindendo dalla forme compositive di un brano (sonata, fuga, suite, canzone in genere, concerto, ecc.), in termini assolutamente sostanziali, la composizione di una melodia attiene alla sfera del gusto musicale proprio dell’artista che a sua volta si affida anche alla scientificità delle regole armoniche e compositive già, da sempre, presenti in natura.

Questo significa che in musica non si inventa nulla, bensì si scopre. Ed è proprio in virtù di questo principio che la musica nei tempi si è evoluta. Nessuno hai mai inventato, ma tanti hanno scoperto.

Come tutte quelle materie che appartengono alla sfera del razionale, l’armonia e la composizione possono diventare tuttavia Arte solo se si riesce ad interagire filosoficamente, speculativamente con loro, laddove ogni spostamento, ogni relazione, nonostante rigorosamente matematica e razionale, diventa “invenzione” non inventata…. diventa Arte.

Quest’azione di tipo speculativo ed empirico al tempo stesso, ha prodotto un enorme repertorio musicale ancora oggi suonato che, attraverso la sua analisi, ha permesso negli ultimi 100 anni di comprendere le regole principali che governano la musica e pertanto la composizione.

Un momento di improvvisazione: Johnny O’Neal e Giovanni Mazzarino (piano), Luke Sellick (contrabbasso) e Charles Goold (batteria)
(Ph. Paolo Galletta)

Anche se in passato l’improvvisazione è stata materia praticata dai “musicisti geni” dell’epoca (Mozart, Bach, Chopin, ecc.), in  quanto loro, prima di altri, in maniera estemporanea, avevano ben compreso il rapporto tra melodia ed armonia, la “prassi artistica di tipo compositivo”, tuttavia , era quella  di scrivere il tutto su pentagramma al fine di tramandare ai posteri la loro eccellente attività musicale – compositiva. Ma i grandi musicisti del passato conoscevano le regole della composizione anche se forse non le avevano mai studiate; ed è proprio in considerazione dell’analisi musicale delle loro opere che si sono create le “regole”. Regole, semplicemente scoperte e sperimentate, ma già esistenti in natura.

Sulla base di queste considerazioni, all’inizio del XX° secolo, vista anche la grande possibilità di comunicazione intellettuale ed artistica tra le popolazioni del mondo (sicuramente maggiore rispetto a quella del passato),  si è ritenuto proporre un nuovo modo di fare e comporre musica. Di fatto di nuovo non c’era nulla. Ma sicuramente si vuole da adesso in poi dare maggiore importanza alla figura del compositore in luogo di quella dell’esecutore. L’esecutore (strumentista) doveva solo eseguire la grande musica, scritta da altrettanti grandi musicisti; questo risultava  non essere più sufficiente per essere “denominato musicista”. Il compositore (il musicista, non solo lo strumentista) doveva d’ora innanzi scoprire nuove regole, speculando ed approfondendo lo studio delle opere dei grandi musicisti del passato e pertanto “inventando” nuovi linguaggi ed estetiche che hanno prodotto la cosiddetta  estemporaneità compositiva (improvvisazione). Questo significava che, vista la profonda ed acquisita qualità conoscitiva della musica e delle sue regole, non ci sarebbe stato più bisogno di scrivere in maniera dettagliata su pentagramma, ad esempio, la parte armonica (la mano sinistra del pianista per intenderci), bastava da adesso in poi scrivere semplici sigle per comunicare l’armonia di una composizione. La melodia rimaneva identica: elemento discriminante e determinante di una composizione.  In realtà lo era anche prima, ma da adesso in poi il tutto avrebbe assunto una modalità relativa alle conoscenze musicali, più o meno profonde, dell’esecutore – musicista. Da quel momento in poi una composizione suonata da un strumentista o da un altro, sarebbe stata uguale per quanto concerne la melodia, ma profondamente diversa da un punto di vista armonico. Ecco che l’esecutore – strumentista, lascia sempre più spazio al musicista – compositore.

La grande possibilità di gestione armonica di un brano permise anche  il cambiamento della melodia stessa, sia pure in minima parte. Questo avveniva in considerazione dell’estro e della creatività del musicista che automaticamente interagiva con il compositore originale, creando nuove melodie e legami armonici, derivanti dalle diverse soluzioni armoniche  adottate. Tutto ciò avveniva sempre più spesso, quasi come gioco, in via del tutto estemporanea. Il  nuovo musicista – esecutore e compositore, improvvisa soluzioni armoniche differenti, cambiando o mantenendo la melodia originale, sulla base di regole ferree che i grandi compositori del passato adottavano, ma che gli stessi per esigenza comunicativa della loro poetica artistica, erano costretti a scegliere una e sola  soluzione di tipo melodica – armonica  che andava fissata su di un pentagramma, non in quanto l’unica possibile, ma in quanto maggiormente esteticamente congeniale, in quel momento, a loro stessi.

Mozart è stato l’esempio vivente del musicista – esecutore – compositore. Pertanto in tempi non sospetti, l’improvvisazione intesa come possibilità di cambiamento della melodia e dell’armonia in maniera estemporanea, intesa quindi come valida alternativa alla composizione tradizionale ma non diversa da essa, era già praticata. Sulla base di queste considerazioni, il compositore è un “improvvisatore al rallentatore”. Entrambi utilizzano le regole armoniche che governano la musica, l’uno “a tavolino”, l’altro direttamente “in concerto”.

Lo studio dell’improvvisazione è quindi lo studio della composizione intesa non già in relazione alla semplice o complessa “forma” compositiva, ma come costruzione di melodie sulla base di una progressione data di accordi. Questa materia pertanto si occuperà di come una o più note possano essere compatibili con gli accordi, quali note saranno le più efficaci, la loro disposizione  ritmica.

Questo meccanismo può essere applicato a tutta la musica, in quanto quest’ultima è una e sola, governata dalle medesime leggi. È evidente che le varie estetiche musicali pretenderanno linguaggi improvvisativi diversi tra loro, ma sempre fondati su i medesimi principi armonici, applicati e congegnati in maniera ritmica diversa.