Rossella D’Andrea e Francesco Pisano: la voglia, il piacere e la spensieratezza di fare musica insieme

Rossella D’Andrea e Francesco Pisano: la voglia, il piacere e la spensieratezza di fare musica insieme

È uscito “It Had To Be You”, album d’esordio dei musicisti siciliani Rossella D’Andrea e Francesco Pisano: Jazz che piace a chi ama i grandi classici interpretati con classe e ironia.

È uscito il 5 Agosto scorso per Jazzy Records l’album “It Had To Be You”, frutto della lunga collaborazione tra la cantante Rossella D’Andrea e il pianista Francesco Pisano, entrambi originari di Messina. Con undici brani selezionati tra i più amati del loro repertorio, tratti dalle pagine del Great American Songbook, Rossella e Francesco ci regalano interpretazioni affascinanti e coinvolgenti, immergendoci in un clima rilassato e gioioso. L’album è stato registrato e mixato nello studio Casamusica  dello stesso Pisano che, insieme a Rossella, ha curato  personalmente l’intera produzione. Tra i brani  scelti troviamo “Days of Wine and Roses”, “I Fall in Love Too Easily”, “Cherokee” e molti altri, che vengono rivisitati con grande maestria e sensibilità dalla D’Andrea, vocalist dalla voce avvolgente che riesce a catturare l’essenza di ogni brano. Francesco Pisano al pianoforte aggiunge il suo tocco elegante e raffinato, creando un connubio musicale particolarmente equilibrato. Oltre ai due leader, l’album ospita in alcune tracce il sassofonista Rino Cirinnà e il contrabbassista Nello Toscano, musicisti di vaglia nel panorama del Jazz siciliano. Un momento particolare è rappresentato dal brano “Sail Away” di Tom Harrell, per il quale Rossella D’Andrea ha scritto un testo originale.  “It Had To Be You” è un album che cattura l’essenza della musica Jazz, trasmettendo calore, passione e divertimento.

Abbiamo incontrato Rossella e Francesco, che ci hanno svelato il dietro le quinte di questo lavoro e raccontato alcuni momenti del loro percorso artistico.

Rossella D’Andrea e Francesco Pisano in studio, durante la registrazione dell’album.
Ph. Paolo Galletta

Rossella e Francesco, raccontateci un po’ di voi, del vostro percorso artistico personale e della vostra collaborazione sfociata oggi in questo lavoro.

Rossella

Fin da bambina ho iniziato gli studi classici, arrivando fino all’ottavo anno di pianoforte. C’e’ stata quindi una pausa, durante la quale mi sono laureata in Ingegneria Elettronica intraprendendo questa strada lavorativa, mantenendo però sempre viva la mia passione per la musica in generale e avvicinandomi al jazz. Anche Francesco ha iniziato gli studi classici da bambino, diplomandosi in Pianoforte classico. Successivamente ha effettuato un cambio di direzione musicale esprimendosi in ambienti pop e jazz.

Ci siamo conosciuti durante un concerto e da lì abbiamo scoperto una certa affinità di gusti musicali che ha facilitato la nostra collaborazione. Quando lavoriamo, ascoltiamo e studiamo nuovi brani sperimentando nostri arrangiamenti: alcune volte un arrangiamento nasce dal mio modo di concepire il brano (variazioni della melodia del tema o il modo in cui lo sento ritmicamente) e a questo punto Francesco si getta a capofitto andando alla ricerca del miglior modo con cui accompagnarmi per valorizzare il brano… altre volte invece l’idea nasce da Francesco, con delle riarmonizzazioni particolari o con delle variazioni ritmiche che danno a me l’ispirazione ed una personale chiave di lettura del brano….

Come è nata l’idea del disco? Perché avete scelto It Had To be You come brano portante?

Rossella

Suoniamo insieme da una decina di anni e musicalmente c’è sempre stata una grande sintonia; da un po’ di tempo continuavo a proporre a Francesco di registrare qualcosa insieme; così, avendo avuto una buon riscontro (sia da parte del pubblico che degli addetti ai lavori) in occasione di alcuni concerti fatti insieme, abbiamo deciso di registrare alcune di quelle esecuzioni, da cui è partito questo progetto che ha coinvolto anche i due grandissimi musicisti Nello Toscano (al contrabbasso) e Rino Cirinnà (al sassofono).

Per quanto riguarda il titolo del disco, tempo fa abbiamo scoperto che questo brano è particolarmente caro ad entrambi: a me che l’ho ascoltato per la prima volta nel lontano 1989 all’interno del film ‘Harry ti presento Sally’… e a Francesco, che da bambino lo suonava con il padre… Insieme abbiamo cominciato a suonarlo, arrangiandolo nelle maniere più diverse… tant’è che nel disco lo abbiamo inserito due volte: una prima versione in trio (voce, sax e pianoforte) ed una seconda versione solo strumentale con Francesco al pianoforte: è anche questo il motivo per cui abbiamo dato questo titolo al disco.

Come avete scelto i brani da inserire nella playlist e in che modo avete lavorato alla definizione del progetto?

Francesco

Tutti i brani da noi scelti hanno come filo conduttore una bellezza melodica che ci ha affascinato: alcuni sono Standard, altri non necessariamente jazz, ma comunque noti; abbiamo pensato alla riproposizione di questi temi in maniera ‘spontanea’ e senza ‘sovrastrutture’ che tendono, a volte, a mettere in secondo piano il messaggio musicale (abbiamo anche deciso di non inserire la batteria nella nostra formazione: una scelta voluta ma certamente più complessa). Sono stati selezionati una trentina di brani con caratteristiche analoghe: in questo primo disco ne abbiamo inseriti 11, ma vogliamo dare seguito a questa nostro primo progetto, infatti è già in lavorazione un secondo disco le cui tematiche sono simili ma con uno sviluppo di arrangiamento molto differente.

Rossella D’Andrea e Francesco Pisano in studio, durante la registrazione dell’album.
Ph. Paolo Galletta

Francesco, il disco è stato registrato nel tuo studio e curato personalmente da te che sei anche un fonico di studio esperto. Sei contento del risultato sonoro ottenuto o è stato più difficile lavorare su un tuo progetto personale rispetto a quando ti occupi della musica degli altri?

Francesco

Dopo tanti anni passati a tentare di trovare la formula per il ‘giusto’ suono, teoricamente dovrebbe essere più semplice riprodurre le sonorità tanto desiderate. In realtà proporre un progetto personale ti fa sorgere sempre molte domande sull’effettiva riuscita della registrazione. Assieme a Rossella abbiamo trovato una soluzione gratificante per entrambi, ottenendo un sound personale e non troppo costruito, quasi una presa diretta: non ci siamo soffermati sulla perfezione del suono ma sull’ambientazione sonora e sull’omogeneità dell’insieme.

Rossella: la dimensione del duo sembra esserti particolarmente congeniale. Com’è stata questa esperienza dal punto di vista vocale e interpretativo?

A me piace molto interagire emotivamente con il pubblico che ho davanti, quindi in studio rischio di ‘concedermi’ un pò meno… pertanto ho cercato di immaginarmi sempre a cantare durante un concerto… questo mi dava la giusta ‘chiave di lettura’ nell’interpretazione.

Parlateci dell’interazione musicale nel vostro duo: è soltanto frutto di un’intesa naturale o ci lavorate in qualche modo “speciale”? Insomma, qual è la vostra “ricetta” artistica?

Francesco

Ci risulta abbastanza naturale lavorare insieme. Nel tempo abbiamo condiviso le nostre visioni musicali, pertanto diventa più facile trovare la soluzione di arrangiamento a noi più soddisfacente. Quello che facciamo, lo facciamo sempre divertendoci e volendo trasmettere agli altri la nostra gioia nel farlo… speriamo che sia questo il messaggio che arrivi: la voglia, il piacere e la spensieratezza di fare musica insieme.

Se doveste creare un piccolo spot, o anche solo scrivere una frase per promuovere il vostro lavoro e invitare il pubblico all’ascolto, che cosa direste?

Francesco

A nostro avviso, la caratteristica principale del nostro disco è la ‘semplicità di ascolto’: è fluido e scorrevole, quindi si rivolge ad un pubblico non necessariamente di ‘esperti in materia’ pur mantenendo gli stilemi di questo genere di musica.

It had to be you – Rossella D’Andrea, Francesco Pisano

Edizioni ©Jazzy Records
Rossella D’Andrea, voce
Francesco Pisano, pianoforte
Rini Cirinnà, sax tenore (tracce 2. 4, 10)
Nello Toscano, contrabbasso (tracce 6, 8, 10)
Che cos’è il Jazz per me? Un modo incredibilmente vivo di immaginare il domani.

Che cos’è il Jazz per me? Un modo incredibilmente vivo di immaginare il domani.

Intervista al sassofonista Fabio Tiralongo, a margine dell’uscita di Raila (ed. Jazzy Records), suo primo album da leader.

Incontriamo Fabio Tiralongo, sassofonista e compositore Jazz di cui proprio in questi giorni l’etichetta Jazzy Records pubblica RAILA, suo primo album da leader. In questo lavoro è coadiuvato al pianoforte da Giovanni Mazzarino, uno dei suoi maestri e mentori,  e da un quintetto formato da alcuni fra i più talentuosi musicisti della nuova scena Jazz siciliana: Riccardo Grosso (contrabbasso), Alessandro Borgia (batteria), Andrea Iurianello (sax baritono) e Alessandro Presti (tromba). RAILA è l’antico nome di Avola, la città “esagonale” dove Tiralongo è nato e cresciuto muovendo i primi passi di musicista nella banda, una terra ricca di storia, bellezze e contrasti che ha ispirato le composizioni di questo lavoro. I sei brani originali più uno standard (It could happen to you) tracciano un territorio  in cui poliedricità ritmica e stilistica riflettono una musicalità fresca e ispirata, rispettosa di un’estetica che pone l’eleganza, il senso della frase e la costruzione del dialogo fra i suoi asset principali. Il CD  è particolarmente curato anche per quanto riguarda la veste grafica e la cartotecnica, che incorniciano gli splendidi ritratti del fotografo Paolo Galletta, artista a cui Jazzy Records affida da anni il racconto dei suoi progetti artistici più importanti.

Fabio Tiralongo in studio, durante la registrazione dell’album.
Ph. Paolo Galletta

Il tuo primo lavoro discografico da leader, dal titolo “RAILA” (Jazzy Records, 2022), è un tributo alla tua città d’origine, Avola. Ci racconti il perché di questa dedica e come hai sviluppato il concept musicale del disco?

Questo disco parla di un percorso di vita nato e sviluppatosi in musica. Ho voluto omaggiare la mia terra e le molteplici realtà che la compongono, che hanno contribuito alla mia formazione e a cui devo molto. Credo che ricordare e raccontare le proprie radici sia fondamentale per la costruzione di un percorso artistico solido. La mia terra, e le persone che qui ho incontrato, mi ha fornito e fornisce le basi che sostengono e rafforzano la mia identità umana e musicale. E per quanto le composizioni presenti in questo disco nascano dal bisogno di sublimare urgenze personali, in ciascuna di esse sono presenti riferimenti e tracce di luoghi e cammini. Ispirato tanto dai miti di sempre, come Coltrane, quanto dalla musica popolare, mediterranea e celtica, e dal vissuto, ho quindi composto sei tracce che raccontano un percorso di vita. La settima, invece, arrangiamento di “It could happen to you”, vuole essere uno stimolo alla contaminazione: questa improvvisazione libera, infatti, riconosce ciò che è stato e si ‘lancia’ verso il domani che verrà.

Parliamo delle tue composizioni: che cosa ti ispira, quali sono i tuoi riferimenti musicali e culturali in generale? In che modo lavori alla tua musica?

Le mie composizioni sono legate alla realtà. Parlano di ciò che vivo e conosco. Sono ‘scatti’ del quotidiano, personale o altrui, tradotti in musica. L’aver vissuto a contatto con la natura, ad esempio, mi ha permesso di scrivere Greenwood: le sensazioni provate hanno suscitato in me l’urgenza di tradurre in musica l’impressione del momento. Per cui, potrei tranquillamente annoverare l’impressionismo tra i miei riferimenti principali. Vorrei poi citare Coltrane, Gerry Mulligan e Chet Baker – che mi hanno fatto appassionare al Jazz, galeotto l’album “Pianoless Quartet”. Ma i generi che apprezzo e da cui traggo ispirazione sono vari, così come i bisogni sublimanti che mi conducono alla pagina bianca. Non potrò mai dimenticare l’apporto dato dalle operette ascoltate da bambino con mio nonno o l’aver suonato con la banda musicale del mio paese, una palestra insostituibile di apprendimento e ascolto.

L’album vede una formazione ampia che consente interessanti soluzioni a livello timbrico, espressivo e di arrangiamento. Oltre a un featuring importante come Giovanni Mazzarino al pianoforte, hai convocato giovani musicisti tutti siciliani. In che modo hai scelto i tuoi compagni di viaggio?

La visione comune. La visione comune di suono e la personale stima verso gli artisti che hanno collaborato al disco hanno portato alla formazione che ascolterete. Inoltre, provenendo da un ambiente orchestrale, per me è naturale circondarmi di persone che permettono una composizione ampia e articolata – fondamentale per comporre brani con molteplici colori. Credo che questo gruppo rappresenti il ‘meglio’ dal punto di vista umano e artistico.

Il feat di Giovanni Mazzarino, poi, è stato per me un immenso onore. E non solo per la sua grandezza musicale. Per me, Mazzarino rappresenta un simbolo forte del Jazz, siciliano e non: ha girato il mondo e, nonostante le infinite sollecitazioni, ha comunque scelto di dare ascolto alle proprie origini culturali e musicali.

Giovanni Mazzarino e Fabio Tiralongo in studio, durante la registrazione dell’album.
Ph. Paolo Galletta

Che cosa significa per te essere siciliano? In che modo influisce sul tuo modo di fare musica?

Credo che la sicilianità sia un modo d’essere e vivere e guardare il mondo. Per me significa coniugare i tempi e le culture tutte. Accogliere il vecchio e il nuovo con sguardo aperto e sincero. Lasciarsi influenzare, contaminare dalle esperienze altre e dai mondi altri. Credo che la sicilianità sia un dono e che maturi in noi e con noi.

Nella tua biografia scopriamo che hai partecipato a 13 album come sideman e hai all’attivo importanti collaborazioni: Andy Sheppard, Giovanni Mazzarino, Javier Girotto, Paolo Silvestri, Mario Biondi, Fabrizio Bosso, Billy Cobham, Paolo Fresu, Daniela Spalletta, Rita Botto, Mannarino, Roy Paci. Raccontaci qualcosa di queste esperienze.

È così. Ho avuto la fortuna di poter collaborare con tanti grandi artisti, e alcune collaborazioni sono avvenute grazie all’Orchestra Nazionale Jazz Italiana. Queste esperienze sono state degli incredibili viaggi tra i generi che hanno contribuito enormemente alla mia formazione. E ogni artista con cui ho lavorato mi ha lasciato un’impronta di sé, una traccia umana e professionale importantissima – per cui non smetterò mai di essere grato.

A dispetto della tua giovane età, hai già sviluppato una solida esperienza anche come didatta. Che cosa pensi dei bambini e dei ragazzi che si affacciano allo studio e della musica oggi? Noti delle differenze rispetto alla tua generazione in termini di approccio allo studio, di aspettative?

Da qualche anno ho l’occasione di insegnare a bambini e ragazzi di varie realtà siciliane. Ne sento fortemente la responsabilità e credo sia un’attività necessaria, in particolare per i tempi in cui viviamo. Sempre meno ragazzi, per varie ragioni, studiano o possono studiare musica per cui è importante cogliere le occasioni esistenti per stimolare l’interesse, la curiosità dei più giovani e aiutarli a trovare il loro suono. Ci vorrebbe più musica per le strade, più generi di “nicchia” per i quartieri. Credo fermamente che se il quotidiano fosse inondato di musica, se le persone avessero la possibilità di avere nelle loro vite strumenti musicali e arte, il peso della musica nelle loro esistenze e nel nostro Paese cambierebbe radicalmente – e ne potremmo beneficiare tutti.

Il tuo disco esce con un’etichetta particolare, la Jazzy Records, nota per pubblicare solo alcuni progetti affini a un “certo” modo di intendere la musica e l’arte. Com’è nata questa scelta?

Creatività, emozione, dedizione ed entusiasmo sono parole chiave che abbiamo in comune. Il Jazz non è semplicemente un genere musicale, è un modo di vivere, di intendere il mondo. Per questo sono molto felice che il mio disco sia tra le nuove proposte della Jazzy Records, che ho sempre ammirato e stimato. L’etichetta vive il Jazz ricordando le proprie origini ed è quel che cerco di fare anche io. Non poteva esserci scelta diversa o migliore.

Che cosa significa per te la parola Jazz, oggi?

Significa più cose. Cura e conoscenza, ad esempio, e avere gli strumenti per esprimersi al meglio. Ma credo anche che il Jazz sia condivisione, contaminazione, qualcosa cui tendere, che rumorosamente crea armonia e unione – di corpi, sentimento, tradizione e aspirazioni. Un modo di esistere, essere, vedere e vedersi. Un modo incredibilmente vivo di immaginare il domani.

RAILA – Fabio Tiralongo feat Giovanni Mazzarino

Edizioni ©Jazzy Records

La copertina dell’album.
Ph. Paolo Galletta

Fabio Tiralongo, sax tenore e soprano, composizioni
Giovanni Mazzarino, pianoforte
Riccardo Grosso, contrabbasso
Alessandro Borgia, batteria
Andrea Iurianello, sax baritono
Alessandro Presti, tromba
“Unstoppable soul”: corto, ma intenso

“Unstoppable soul”: corto, ma intenso

Il senso profondo e invisibile dei legami familiari nell’ultimo lavoro del regista Claudio Proietti

Claudio Proietti, romano, è scrittore, sceneggiatore, regista, autore di cortometraggi e di commedie teatrali, nonché produttore. È stato anche allievo dello sceneggiatore Leo Benvenuti, che ha scritto per registi del calibro di Mario Monicelli e Sergio Leone. 

Lo abbiamo intervistato a proposito del suo ultimo lavoro, il corto “Unstoppable Soul” che racconta il legame salvifico tra un padre e una figlia oltre i confini dello spazio/tempo: Giulio è un papà che ha sacrificato la sua esistenza per seguire la propria vocazione e Sara è una figlia che deve scoprire la propria. Un incontro tra anime inarrestabili.

Ciao Claudio, grazie per questa intervista e complimenti per il film.

Innanzitutto vorremmo sapere come mai hai scelto di realizzare un corto e non un lungometraggio.

Vorrei dare una risposta filosofica, ispirata. In realtà il discorso è sempre lo stesso: il budget. Inoltre, fare un lungometraggio, anche se a basso costo, prevede una serie di passaggi che in quel momento non era possibile fare. Ora sarebbe diverso.  

Il film è scritto, prodotto e diretto da te, immagino sia tua anche la scelta dei due bravi attori Valeria Zazzaretta e Duccio Camerini. Hai dovuto fare molti provini o avevi già l’idea di coinvolgere loro?   

Sono due bravissimi attori, hanno dato ai personaggi qualcosa di magico e incredibilmente realistico. A volte, come in questo caso, le cose accadono molto semplicemente: li ho contattati proponendogli la sceneggiatura e loro hanno accettato con entusiasmo.

Il tuo corto tocca argomenti come il rapporto con le figure genitoriali, il lutto, la nostalgia, la difficoltà di trovare la propria strada e la propria vocazione; quando è nata l’idea per il film? Era nel cassetto come era capitato per il tuo romanzo il Barbiere oppure è frutto di questi tempi?

È difficile stabilire il momento esatto in cui una storia viene concepita: certe vicende ci abitano dentro chissà da quanto tempo, magari si nascondono, cambiano volto. Ma stanno lì. Poi qualcosa accade. Sicuramente una parte di me, ad un certo punto, ha deciso che dovevo scriverla e girarla: mi son sempre sentito un tramite, mi lascio guidare da una storia, da un personaggio, li lascio prendere vita quando decidono che è il loro momento, tutto qui.

Il tema della vocazione/talento ricorre sovente nelle tue opere (anche letterarie), tu in particolare ne hai molti: sei scrittore, sceneggiatore e regista. Qual è il ruolo in cui ti senti più a tuo agio?

Non saprei. Una volta mi cercavo, provavo a definirmi e questo mi creava malessere. Capisco che per la società attuale le etichette sono necessarie, ma per me non è più così. La vocazione è qualcosa che riguarda tutti noi: meno ci definiamo più veniamo guidati da lei. E questo ci permette di realizzarci. 

Anche il tema dei rapporti tra genitori e figli è un argomento presente in questa e in altre opere… 

È l’unico tema: anche quando parliamo di altre cose, alla fine si riduce tutto a questo. Siamo anche un po’ i genitori di noi stessi: accettandolo, accettiamo di portare avanti la nostra vita. Questo a volte può spaventare, ma nel contempo rende liberi.  

Che obiettivi artistici e professionali ti sei dato nella realizzazione di quest’opera?

Nessun obiettivo: sono stato travolto da qualcosa più grande di me e mi sono reso disponibile.

Attualmente il tuo film è visibile su YouTube. Hai pensato anche ad altri canali distributivi? Quali?

Sì, ma al momento va benissimo così. Volevo trasmettere qualcosa che sentivo e sento profondamente, doveva arrivare a tutti e il più velocemente possibile. Perché non avvalermi di una piattaforma così popolare?

Come è stato accolto dalla critica “Unstoppable soul”?

Finora abbiamo avuto molti apprezzamenti, poi, come è normale che sia, ci sarà chi lo amerà di più e chi meno. Ad oggi è stato abbracciato con molto calore. 

Cosa ne pensi del panorama cinematografico attuale in Italia e qual è la tua visione per il prossimo futuro post pandemia?

Ci sono degli ottimi autori. E poi si sperimenta di più. Il futuro del cinema è quello dell’essere umano, non può essere che così: si indagherà sempre di più su tematiche intime e profonde, usando i vari generi, ovviamente. 

Il rapporto tra i tuoi libri e il cinema sembra forte: hai altri progetti a cui stai lavorando e che vedremo sugli schermi?

Sì. Sto sviluppando delle idee che mi piacciono molto. Ne parlerò prestissimo. Nel frattempo confido nei miei personaggi e nei loro mondi. Decidono loro. E io mi fido.

Ph. Enrico De Divitiis

Scheda del film

Ph. Enrico De Divitiis

Info tecniche:
Anno: 2021
Durata: 8,40 minuti
Formato: Ultra 4k
Audio: Dolby surround
Lingua: italiano
Sottotitoli: inglese
Crediti:
Regista: Claudio Proietti
Produttore: Claudio Proietti
Sceneggiatura: Claudio Proietti
Produttori esecutivi: Massimo Ferrari e Gaia Capurso
Fotografia: Fabio Lanciotti
Montaggio: Gustavo Alfano
D.I.T: Enrico De Divitiis
Operatori di ripresa: Fabio Lanciotti e Flavio Cammarano
Fonico di presa diretta: Roberto (Bob) Colella
Edizioni Musicali: Flipper music
Operatore drone: Flavio Cammarano
Trucco: Silvia Bottan
Cast:

Attore: Duccio Camerini
Attrice: Valeria Zazzaretta