Che cosa significa per te essere siciliano? In che modo influisce sul tuo modo di fare musica?
Credo che la sicilianità sia un modo d’essere e vivere e guardare il mondo. Per me significa coniugare i tempi e le culture tutte. Accogliere il vecchio e il nuovo con sguardo aperto e sincero. Lasciarsi influenzare, contaminare dalle esperienze altre e dai mondi altri. Credo che la sicilianità sia un dono e che maturi in noi e con noi.
Nella tua biografia scopriamo che hai partecipato a 13 album come sideman e hai all’attivo importanti collaborazioni: Andy Sheppard, Giovanni Mazzarino, Javier Girotto, Paolo Silvestri, Mario Biondi, Fabrizio Bosso, Billy Cobham, Paolo Fresu, Daniela Spalletta, Rita Botto, Mannarino, Roy Paci. Raccontaci qualcosa di queste esperienze.
È così. Ho avuto la fortuna di poter collaborare con tanti grandi artisti, e alcune collaborazioni sono avvenute grazie all’Orchestra Nazionale Jazz Italiana. Queste esperienze sono state degli incredibili viaggi tra i generi che hanno contribuito enormemente alla mia formazione. E ogni artista con cui ho lavorato mi ha lasciato un’impronta di sé, una traccia umana e professionale importantissima – per cui non smetterò mai di essere grato.
A dispetto della tua giovane età, hai già sviluppato una solida esperienza anche come didatta. Che cosa pensi dei bambini e dei ragazzi che si affacciano allo studio e della musica oggi? Noti delle differenze rispetto alla tua generazione in termini di approccio allo studio, di aspettative?
Da qualche anno ho l’occasione di insegnare a bambini e ragazzi di varie realtà siciliane. Ne sento fortemente la responsabilità e credo sia un’attività necessaria, in particolare per i tempi in cui viviamo. Sempre meno ragazzi, per varie ragioni, studiano o possono studiare musica per cui è importante cogliere le occasioni esistenti per stimolare l’interesse, la curiosità dei più giovani e aiutarli a trovare il loro suono. Ci vorrebbe più musica per le strade, più generi di “nicchia” per i quartieri. Credo fermamente che se il quotidiano fosse inondato di musica, se le persone avessero la possibilità di avere nelle loro vite strumenti musicali e arte, il peso della musica nelle loro esistenze e nel nostro Paese cambierebbe radicalmente – e ne potremmo beneficiare tutti.
Il tuo disco esce con un’etichetta particolare, la Jazzy Records, nota per pubblicare solo alcuni progetti affini a un “certo” modo di intendere la musica e l’arte. Com’è nata questa scelta?
Creatività, emozione, dedizione ed entusiasmo sono parole chiave che abbiamo in comune. Il Jazz non è semplicemente un genere musicale, è un modo di vivere, di intendere il mondo. Per questo sono molto felice che il mio disco sia tra le nuove proposte della Jazzy Records, che ho sempre ammirato e stimato. L’etichetta vive il Jazz ricordando le proprie origini ed è quel che cerco di fare anche io. Non poteva esserci scelta diversa o migliore.
Che cosa significa per te la parola Jazz, oggi?
Significa più cose. Cura e conoscenza, ad esempio, e avere gli strumenti per esprimersi al meglio. Ma credo anche che il Jazz sia condivisione, contaminazione, qualcosa cui tendere, che rumorosamente crea armonia e unione – di corpi, sentimento, tradizione e aspirazioni. Un modo di esistere, essere, vedere e vedersi. Un modo incredibilmente vivo di immaginare il domani.