Il Design etico, una bussola per pensare e disegnare oggetti per città a misura umana

Il Design etico, una bussola per pensare e disegnare oggetti per città a misura umana

Etica e design, dalle ribalte mediatiche del Fuorisalone di Milano alla pratica odierna di progettisti e addetti ai lavori.

Da sinistra: Sergio Costa, Paola Maestroni, Furio Ferri, Fabrizio Citton

Le associazioni culturali PLANA e ANIMUM LUDENDO COLES sono state protagoniste dell’evento Meeting grandesignEtico che si è tenuta dal 7 al 10 Settembre scorsi alla Design week, in concomitanza con il Salone del Mobile 2021. Il meeting è stato ospitato all’Acquario Civico di Milano, nella splendida palazzina in stile liberty progettata dall’architetto Sebastiano Locati. Obiettivo dell’evento è stato ritrovarsi in un luogo meraviglioso per condividere l’esperienza del grandesignEtico attraverso progetti, esposizioni, rassegne e confronti fra addetti ai lavori. In particolare, l’esposizione di oggetti di design selezionati per “grandesignEtico International Award”, la mostra fotografica “I Segni del COVID-19”, e la personale di Giacomo Braglia. Inoltre, una serie di conferenze con l’introduzione di Sergio Costa, fondatore e presidente di PLANA e moderate da Fabrizio Citton, hanno scandagliato in più direzioni i temi cari all’universo PLANA, che promuove la cultura etica del design, sul territorio e verso la collettività, valorizza l’immagine internazionale di giovani talenti, designer e aziende italiane, promuove la cultura dello sviluppo sostenibile, organizzando iniziative sociali, eventi culturali e campagne di sensibilizzazione.

PLANA e il design etico

L’Associazione Culturale Plana nasce nel 1977, a Milano, promuovendo iniziative di carattere culturale, sociale e informativo. Sergio Costa, fondatore e presidente dell’Associazione, nel 1974 costituisce Plana, azienda produttrice di oggetti di design che esprimono i concetti di qualità sostenibile e due anni più tardi, nel 1976, fonda la rivista Fascicolo, con lo scopo di dare voce alle nuove idee e contenuti etici, riflettendo sulle tematiche dell’architettura, arredamento, arte, comunicazione, design, filosofia, letteratura, marketing, moda, grafica e fotografia. L’universo PLANA promuove la cultura etica del design, sul territorio e verso la collettività. Valorizza l’immagine internazionale di giovani talenti, designer e aziende italiane, promuove la cultura dello sviluppo sostenibile, organizzando iniziative sociali, eventi culturali e campagne di sensibilizzazione: l’evento all’Acquario ne è un esempio di grande valore.

Animum Ludendo Coles: portiamo l’etica del design nell’estetica del gioco e dell’arredo urbano

Di particolare interesse, nella giornata del 9 Settembre, è stata la relazione del designer Furio Ferri, fondatore di ANIMUM LUDENDO COLES, associazione culturale fondata a Lodi nel 1995 che trasforma e recupera gli spazi pubblici in aree gioco, per fare delle città luoghi di convivenza fra persone di culture ed età diverse fra loro, valorizzando i materiali naturali come la pietra e il legno, che l’uomo conosce e comprende, usa e ama da sempre.  Sono piacevoli al tatto e alla vista, immuni alle mode del momento e carichi di grandi capacità espressive. «Giocando si coltiva l’animo perché il gioco è confronto, divertimento, rispetto delle regole e dell’altro. Con i nostri progetti, creiamo vere e proprie zone per lo scambio culturale, luoghi che aiutano le realtà locali a portare le persone lì dove si gioca la partita del rispetto reciproco e dello sviluppo di una comunità vera, creando la città di domani”, ha raccontato Ferri nel corso della sua relazione accompagnata da alcune immagini di installazioni ludiche in Italia e all’estero. Animum Ludendo Coles da alcuni anni collabora con il Dipartimento di Scienze dell’Educazione di Bologna coordinato dalla la Prof.ssa Vanna Gherardi, attraverso una partnership che procederà sino alla fine del 2022 all’insegna dello sviluppo di progetti incentrati sulla progettazione di percorsi educativi in spazi urbani elaborando modelli formativi su un rapporto strutturale territorio e scuola, promuovendo nuove attività per la valorizzazione della cittadinanza attiva nella rigenerazione degli spazi urbani in un’ottica di sistema formativo allargato.

Lavori come valori

“Non proponiamo meri «oggetti di arredamento urbano»”, ha proseguito Ferri. “I nostri lavori sono valori. Sosteniamo il ruolo educativo del gioco libero, utile, per tutti, come riconosciuto dall’Unesco. Portiamo avanti questa strada condividendo le nostre idee con le comunità, così da realizzare progetti urbani e percorsi di partecipazione che fanno dell’appartenenza e dell’integrazione culturale la loro ragione d’essere”.

Gli appuntamenti con il design etico promossi da PLANA proseguono il 18 Novembre con il Festival dell’Etica presso il nuovo Adi Design Museum in piazza del Compasso d’Oro a Milano, che raccoglie la collezione storica dei Compassi d’Oro, premio voluto da Gio Ponti nel 1954 e le menzioni d’onore.

Foto in evidenza: Acquario Civico di Milano

MITO SETTEMBREMUSICA 2021: “FUTURI”

MITO SETTEMBREMUSICA 2021: “FUTURI”

Diversità e continuità in un programma ambizioso: tra gli ospiti, i pianisti Ivo Pogorelich, Brad Mehldau, Gabriela Montero, Michail Lifits; il violinista Sergej Krylov; il tenore Ian Bostridge; la fisarmonicista Ksenija Sidorova 7 prime esecuzioni assolute, tra cui una commissione del Festival 12 prime italiane e più di 60 compositori viventi coinvolti Nel giorno dei cori, tredici concerti a ingresso gratuito Continua la collaborazione con Rai Radio3, che trasmette molti concerti in diretta o differita, e Rai Cultura, che realizza un documentario sul festival Milano – Torino, dall’8 al 26 settembre

Brad Meldhau – Ph. ©David Bazemore

Comunicato stampa/
Si intitola “Futuri” ed è dedicata a Fiorenzo Alfieri, Assessore alla Cultura di Torino recentemente scomparso, la quindicesima edizione del Festival MITO SettembreMusica, che si svolgerà a Milano e a Torino dall’8 al 26 settembre 2021, con 126 concerti nelle due città. Un hashtag eloquente, #soloamito, per identificare un cartellone articolato e vario ma al tempo stesso compatto e coerente, che fonde e mette in comunicazione fra loro proposte diverse per ascoltatori diversi, nomi illustri e realtà spontanee, capolavori consacrati e proposte inedite, per i grandi e per i piccoli, per il pubblico più preparato e per quello meno abituato alla musica. Tutti programmi ideati apposta ed esclusivamente per un festival unico, declinando il tema che li riunisce in uno sforzo creativo eccezionale, realizzato grazie alla stretta collaborazione con gli artisti coinvolti, pur nel costante rispetto dei protocolli sanitari. Anche quest’anno non mancano le introduzioni ai concerti, curate da Stefano Catucci, Enrico Correggia, Luigi Marzola, Carlo Pavese e Gaia Varon.
«La pandemia ci ha costretti a concentrarci sul presente – dice il Direttore artistico Nicola Campogrande – perché per mesi il nostro futuro è stato ipotecato, interrotto. Ma la musica classica attraversa il tempo e, per sua natura, riunisce l’eredità del passato e il respiro del presente, consegnandoli al futuro. Ecco quindi i “Futuri” di MITO SettembreMusica: sono quelli con i quali i compositori hanno sempre avuto a che fare, scrivendo musica perfetta per la loro epoca, che poi passava in eredità ai posteri, oppure componendo per orecchie che ancora non esistevano. Sempre, in ogni caso, sfidando il tempo».

Appuntamenti in orari diversi e a prezzi contenuti

Nell’arco dell’intera giornata, da quelli serali in sedi prestigiose come il Teatro dal Verme, l’Auditorium Rai “Arturo Toscanini”, l’Auditorium “Giovanni Agnelli” del Lingotto, a quelli diurni, per arrivare a estendersi nei luoghi decentrati delle due città. «Mi piace sottolineare la dimensione sociale che da sempre caratterizza il festival – dice la Presidente Anna Gastel – dall’attenzione verso i più piccoli, i nostri spettatori di domani, con spettacoli a loro dedicati nei fine settimana, all’accessibilità del prezzo dei biglietti, veramente per tutti, fino alla scelta di decentrare in teatri di quartiere molti concerti con interpreti di prima grandezza, così da pervadere tutta la città con la consueta “festa della musica”». Prezzi quindi ancora una volta molto contenuti: quelli per i concerti serali vanno dai 10 ai 35 euro (ma chi è nato dal 2007 in poi paga solo 5 euro), quelli per i concerti pomeridiani e per i bambini 5 euro, quelli per i concerti diffusi nel territorio metropolitano sono proposti a 3 euro, non mancano poi i concerti gratuiti.

Simmetrie anche nella distribuzione degli eventi nelle due città

La serata d’apertura è in programma al Teatro Dal Verme di Milano mercoledì 8 settembre alle 21, e all’Auditorium Rai “Arturo Toscanini” di Torino giovedì 9 settembre. Protagonisti l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e il suo Direttore emerito Fabio Luisi, con il pianista svizzero Francesco Piemontesi in veste di solista. In programma la prima esecuzione italiana di subito con forza della compositrice coreana Unsuk Chin, il Concerto n. 25 in do maggiore KV 503 di Mozart e la Sinfonia n. 8 di Beethoven. E se l’inaugurazione, a Milano, è affidata a una grande orchestra basata a Torino, la chiusura è in programma a Torino con una grande orchestra milanese: domenica 26 settembre alle 21, all’Auditorium del Lingotto, suona la Filarmonica della Scala guidata dal suo Direttore principale Riccardo Chailly. In programma due altissime pagine romantiche: la Sinfonia “Italiana” di Mendelssohn e la Sinfonia n. 4 in re minore di Schumann. Ma lo scambio tra le realtà musicali cittadine non finisce qui, perché a Milano l’ultimo concerto serale, venerdì 24 settembre al Teatro Dal Verme, vede protagonista l’Orchestra del Teatro Regio di Torino diretta da Pablo Heras-Casado. In programma la prima esecuzione italiana di Icarus di Lera Auerbach e la Prima sinfonia di Brahms. Fabio Luisi, Riccardo Chailly e Pablo Heras-Casado sono solo alcuni dei grandi nomi presenti in cartellone: a loro si affiancano un tenore unico per sensibilità e cultura come l’inglese Ian Bostridge, in un duo imprevedibile con il pianista jazz Brad Mehldau che ha composto per lui una raccolta di Lieder sul tema del desiderio, della passione e dell’amore (9 settembre a Milano e 10 settembre a Torino); la leggenda del pianoforte Ivo Pogorelich (14 settembre a Milano e 15 settembre a Torino); un altro duo insolito è quello che vede la fisarmonicista Ksenija Sidorova tornare a MITO con la giovane violoncellista Camille Thomas (13 settembre a Milano e 14 settembre a Torino); un’altra violoncellista giovane ma già celebre in campo internazionale, Miriam Prandi, in duo con Alexander Romanovsky, vincitore del concorso “Busoni” che lo lanciò sulla ribalta internazionale vent’anni fa (16 settembre a Milano e 17 settembre a Torino); la pianista Gabriela Montero, impegnata con le sue fantasmagoriche improvvisazioni su temi proposti dal pubblico (12 settembre a Milano e 13 settembre a Torino); il violinista Sergej Krylov, insieme al pianista Michail Lifits (22 settembre a Milano e 23 settembre a Torino). Tra i complessi ospiti, la Tallinn Chamber Orchestra e l’Estonian Philharmonic Chamber Choir, diretti da Tõnu Kaljuste, per una sera che racchiude atmosfere baltiche e suggestioni italiane, grazie alla prima esecuzione nel nostro Paese di Sei la luce e il mattino di Tõnu Kõrvits, su testi di Cesare Pavese (18 settembre a Torino e 19 settembre a Milano). Molti artisti famosi, ma anche tanti giovani musicisti che si stanno guadagnando l’attenzione del pubblico, e talenti da scoprire: l’Albion Quartet dall’Inghilterra, il Notos Quartett dalla Germania, il Meta4 Quartet dalla Finlandia, il Collegium 1704 dalla Repubblica Ceca, i pianisti Filippo Gorini dall’Italia, e dall’Ucraina Dmytro Choni.

Indagine nella contemporaneità

La prima italiana di Unsuk Chin, sulla quale si alza il sipario del Festival, non è certo un caso isolato: MITO prosegue la sua tradizionale indagine nella contemporaneità offrendo sette prime esecuzioni assolute, di cui una su commissione dello stesso Festival, dodici prime italiane e più di sessanta opere di compositori viventi. Di particolare rilievo la commissione di MITO a David Del Puerto, che ha realizzato una nuova orchestrazione degli ultimi numeri del Requiem lasciato incompiuto da Mozart. Il cinquantasettenne compositore spagnolo ha utilizzato gli strumenti dell’orchestra barocca, aggiungendovi arpa, fisarmonica, chitarra e basso elettrico. Il concerto è in programma il 22 settembre a Torino nella Chiesa di San Filippo Neri, e il 23 settembre a Milano al Teatro Dal Verme, con l’orchestra e l’ensemble vocale “laBarocca” diretti da Ruben Jais. Alle istituzioni ufficiali si alternano le iniziative spontanee e più popolari. Torna il giorno dei cori che accoglie formazioni delle due città, con ben tredici concerti a ingresso gratuito in programma sabato 11 a Milano e domenica 12 settembre a Torino. Culmine della giornata la partecipazione del Coro Giovanile Italiano diretto da Petra Grassi. E una novità fortemente simbolica è la fusione fra due orchestre di fiati: il 18 settembre a Torino e il 19 settembre a Milano si riuniscono elementi di due diverse bande, l’Antica Musica del Corpo dei Pompieri di Torino e la Civica Orchestra di fiati di Milano, per un appuntamento che vede in programma anche l’esecuzione della versione originale della Rhapsody in blue di Gershwin per pianoforte e orchestra di fiati. Tornano anche i concerti per i più piccoli, che nei fine settimana propongono occasioni per scoprire modi poco consueti di fare musica e teatro musicale. In prima italiana andranno in scena Solletico, l’11 a Torino e il 12 a Milano, proposto dall’Oorkan Amsterdam; Futurottole, il 18 a Torino e il 19 a Milano, con i Piccoli cantori di Torino e l’ensemble Brù; Shhht, il 18 a Milano e il 19 a Torino, con il lussemburghese Quatuor beat; e Pachua, il 25 a Milano e il 26 a Torino, con l’Orchestra i Piccoli Pomeriggi Musicali ed Elio come voce recitante. A Torino è in preparazione la rassegna parallela MITO per la città, momenti musicali dal vivo in luoghi non canonici e rivolti in particolare a chi non può raggiungere le sedi di concerto, preziosi in particolar modo dopo il periodo della pandemia.

Riccardo Chailly – Ph. ©Silvia Lelli

MITO SettembreMusica (Milano – Torino, dall’8 al 26 settembre), che gode del contributo del Ministero per i beni e le attività culturali, è realizzato da Fondazione per la Cultura Torino e I Pomeriggi Musicali di Milano, grazie all’impegno economico delle due Città, all’indispensabile partnership con Intesa Sanpaolo – attuata sin dalla prima edizione –, al sostegno della Fondazione Compagnia di San Paolo e degli sponsor Iren, Pirelli, Fondazione Fiera Milano e al contributo di Fondazione CRT. «Con grande piacere confermiamo il nostro sostegno a questa importante iniziativa, con la quale condividiamo l’obiettivo di rendere la musica un patrimonio universale, accessibile a tutti e in particolare ai giovani, che coinvolge le città di Milano e Torino. MITO SettembreMusica è in piena sintonia con il tradizionale impegno di Intesa Sanpaolo a sostegno dell’arte, della musica e della cultura, leve fondamentali per attivare nuovi processi di sviluppo civile, sociale ed economico, soprattutto in questo periodo in cui l’obiettivo è quello di voltare pagina per intraprendere la direzione della ripartenza», ha commentato Fabrizio Paschina, Executive Director Comunicazione e Immagine Intesa Sanpaolo, in occasione della conferenza stampa MITO SettembreMusica di cui la Banca è Partner anche per l’edizione 2021, presentata oggi. La Rai si conferma Media Partner del festival con Rai Cultura, Rai5 e Rai Radio3. È rinnovata la strategica Media Partnership con il quotidiano La Stampa e con la Radiotelevisione svizzera – Rete Due.

Foto in evidenza: Filarmonica della Scala – Riccardo Chailly – Ph. @Giorgio Gori

Inchiostro Festival? Un romanzo, spero con molti sequel

Inchiostro Festival? Un romanzo, spero con molti sequel

Da sinistra a destra: Lorenzo Sartori, Massimo Carlotto, Paolo Panzacchi

Si è conclusa domenica 19 giugno a Crema con un grande successo la terza edizione di Inchiostro, la due giorni letteraria ideata e diretta dallo scrittore Lorenzo Sartori e realizzata in partnership con l’Amministrazione Comunale di Crema. Grande cura e attenzione alla qualità delle proposte hanno caratterizzato anche questo nuovo capitolo di una  kermesse che si contraddistingue  per la piacevole atmosfera informale degli incontri, per la caratura degli autori invitati (sia per quanto riguarda le voci emergenti che per i big) e per la qualità dei conduttori, efficientissime e brillanti  “cinghie di trasmissione” fra gli autori, il loro mondo narrativo e il pubblico. Sara Rattaro, Marco Balzano e Massimo Carlotto hanno fatto delle due serate in CremArena due appuntamenti davvero preziosi perché le presentazioni dei loro romanzi si sono trasformate in immersioni nel tempo reale, per osservare con più lucidità e attenzione la società contemporanea, i nostri comportamenti, i cambiamenti in atto, i fenomeni che stanno caratterizzando le nostre scelte e le nostre vite.
Abbiamo incontrato, “a bocce ferme” o per meglio dire “a pagine chiuse”, il direttore artistico di Inchiostro Lorenzo Sartori e approfondito insieme a lui alcuni aspetti di questa felice esperienza.

Lorenzo Sartori

Terza edizione di Inchiostro. Ti chiedo di fare un bilancio non tanto di questa edizione che è stata un vero successo, quanto del percorso che hai compiuto fin qui, da curatore, insieme al tuo festival.

Il festival è partito nel 2018 ed è subito stata una scommessa, per il sottoscritto che l’ha ideato e per l’amministrazione comunale che ha creduto da subito nel progetto. A Crema erano presenti vari eventi letterari ma non si è mai tenuto un vero e proprio festival, un momento denso di appuntamenti anche in sovrapposizione, dove al lettore è chiesto di scegliere un proprio percorso. Un week end di totale immersione nel mondo dei libri, con la possibilità di conoscere scrittori ma anche editori o addetti ai lavori, perché dietro a ogni libro c’è un mondo ed è giusto che il lettore lo conosca. La scommessa è stata duplice perché si è affiancata al festival una piccola fiera dell’editoria indipendente cosa che ha permesso di animare e valorizzare i chiostri dalla mattina alla sera. Oltretutto credo che sia una delle poche fiere in Italia in cui non sono ammessi editori “a pagamento” (quelli che si fanno pagare dall’autore per pubblicare un libro invece del contrario). Siamo piccoli ma con le idee chiare. La qualità dell’editoria di un paese passa anche attraverso queste piccole ma ferme scelte. Vista la risposta del pubblico direi che entrambe le scommesse sono state vinte.

In che modo selezioni i titoli e gli autori da presentare? Segui un tema o costruisci il programma ascoltando il mercato e i suggerimenti degli editori? Ma soprattutto, come entri in contatto con “dialogatori” così vivaci e competenti? 

Tengo in considerazione vari aspetti. Il pubblico è attratto dai grandi nomi, dagli scrittori affermati che hanno un forte seguito e se ce l’hanno un motivo c’è. Questo motivo sta in quello che scrivono ma anche nel modo in cui lo raccontano, perché mentre la lettura è un momento intimo che riguarda il lettore in modo diretto, senza intermediazioni, la presentazione di quel libro resta comunque un momento performativo e sottostà alle logiche dello spettacolo. Esistono bravi scrittori che però un palco non lo sanno tenere. Quando cerco gli ospiti devo prendere in considerazione quindi anche la capacità di questi autori di intrattenere, di sapere veicolare contenuti interessanti anche a voce. Questo significa andare a vederli prima, seguendo durante l’anno altri festival e presentazioni. Però fama e qualità non sempre vanno di pari passo. Arte e mercato seguono rotte che spesso confliggono. In Italia si legge poco e quindi si premia solo una minima parte degli autori che meriterebbero di essere letti, di solito quelli ben supportati dalle grandi case editrici. Come direttore artistico del festival cerco di dare voce anche agli altri autori, validi ma ancora poco conosciuti, e lo faccio rompendo ogni barriera di genere. Credo che Inchiostro sia uno dei pochi festival che ospiti autori di narrativa contemporanea, di noir, di rosa, di fantasy, di fantascienza senza creare ghetti.

Quanto ai conduttori mi fa piacere che tu abbia apprezzato il loro lavoro. Lo stile di Inchiostro è essere al servizio degli scrittori e serve intelligenza e umiltà quando si dialoga con un autore. Sono fortunato ad avere una bella squadra.

La lettura, l’ascolto e l’approfondimento di tante storie, il confronto delle idee: Inchiostro ha dimostrato anche in questa occasione che le idee coinvolgono il pubblico come e forse meglio di uno spettacolo teatrale, o di un concerto. Eppure i dati sulla lettura di libri e giornali da parte degli italiani sono molto poco incoraggianti. Secondo te qual è il motivo di questa contraddizione? E che cosa si potrebbe fare in concreto per spingere le persone a interessarsi di più alla lettura?

Alla gente piace ascoltare storie. È una cosa che facciamo dall’alba dei tempi, una cosa di cui abbiamo bisogno. Per secoli abbiamo ascoltato storie e solo più di recente abbiamo iniziato a leggerle. Fino agli anni ‘50 una buona fetta della popolazione italiana era analfabeta e se anche impari a leggere a scuola poi ti devi allenare, altrimenti leggere è faticoso, molto. Sei italiani su dieci non leggono neanche un libro all’anno e tra quelli che leggono la maggior parte sono donne, credo ci sia un rapporto di tre a uno, se non di quattro a uno. Se teniamo conto che la classe dirigente di questo paese è composta purtroppo in prevalenza da uomini non è assurdo ipotizzare che una buona fetta delle persone che prendono decisioni in Italia, decisioni da cui dipendono i destini di altri individui, non legga e quindi non conosca. La scuola ha sicuramente un ruolo importante in questa battaglia ma spesso vengono proposti i libri sbagliati e nel modo sbagliato. Imposti. La lettura è un piacere, un piacere che ti allarga la mente, che ti fa vivere altre vite e viaggiare in altri spazi e in altri tempi. Ma richiede un po’ di fatica se non si è allenati, se non si è stimolati a farlo. E io spero che un festival a questo serva, a dare stimoli.

Se Inchiostro festival fosse un libro, che genere sarebbe, e perché?

Direi sicuramente una raccolta, per la varietà della proposta. O un romanzo che attraversa vari generi letterari. Mi auguro con molti sequel.

Da sinistra a destra: Lorenzo Sartori, Massimo Carlotto, Paolo Panzacchi

EXTRA TIME. La scrittura, il dolore, la vita

EXTRA TIME. La scrittura, il dolore, la vita

Durim Taci, Extra Time (la tua seconda persona), Una mitobiografia, Mimesis, Milano 2020.

“Extra Time” è stato per me una sorpresa, in tutti i sensi. Ed è così, riesce a trovarti e colpirti come il vento e forse, ti scuote come un terremoto, senza rumore, in silenzio.
Perché la vita è così, il suo dolore e la sua gioia, l’ordinario e lo straordinario, e tante altre cose auspicano una seconda incarnazione per essere comprese meglio e, non solo, per essere sentite, così, tu sei obbligato a fermare il tempo, anzi di più, per l’esattezza, sei spinto a crearlo e ricrearlo ancora, perché questo tempo non è l’eternità perenne, ma una realtà da perpetuare, un eterno che rimane sempre tuo, nostro. Il tuo libro, credo, riesce a portare il flusso della vita come presenza, il sogno e il mistero insieme, dove l’atteso e l’imprevisto si confondono, poi, una volta definiti, cambiano posto, luoghi e capitoli, in continuazione. Questo è il tuo libro, forse il tuo film e ti sembra che sia più da guardare che da leggere.
E proprio, come chiedi tu, un “extra time” – tempo supplementare di narrazione – allo stesso modo ci vorrebbero “extra words”. Per raccontare questa storia, servono parole aggiuntive che non sono ancora state inventate, ma tu in compenso hai scoperto l’anima delle parole conosciute, senza cercarne altre, hai usato le nostre parole quotidiane che tramite la tua scrittura si sono svelate con una nuova anima, oppure sembra che questo spirito sia fluito direttamente dal Cielo, da lì scende l’ispirazione da Padre, ovvero un insieme eterno, un aiuto che ti viene da un Dio, o forse tutto era così dentro di noi e tu lo hai solo svelato.
Il tuo libro è simile a un’esperienza vissuta, il suo ritmo è un battito vivo, come una camminata frettolosa di chi non ha tempo e si sente che vuole pronunciare il suo messaggio più importante, sa benissimo che va detto, perciò usa i suoi segni per contrastare l’oblio, magari ridurlo, tuttavia non sempre fa questo togliendo l’eccesso, come diceva Michelangelo della statua, al contrario, tu lo fai anche lasciando il pezzo intero, poiché intuisci che qui non si tratta di scolpire una statua, ma di riavere la vita stessa.
Se comincio a teorizzare come fanno i critici e dicessi che, alla fine, il tuo libro è lo specchio di una realtà, no, così non sarei per niente preciso, né posso aggiungere semplicemente che si tratta di un’altra realtà letteraria parallela, no, è un doppio errore. “Extra Time” è un’altra vita, altrettanto originale, proiettata nella magia della lettura, un’altra realtà vissuta alla quale non è permesso di diventare un ricordo, dispiegata in un presente già solido, ovviamente filtrata, di cui tu sei lo scrittore, capace di usare le tecniche che ti permettono di costruire l’eterno, il tuo eterno (linguisticamente, il tempo di un presente eterno va necessariamente creato), che non è una dimensione che segue la logica comune delle persone, è un flusso simultaneo di passato-presente-futuro, un tutto insieme, simile a un taglio cesareo sul ventre di Kronos.

Questo è ciò che il tuo libro è: una novità nelle lettere albanesi, a mio parere. Alla fine, il libro è una confessione sull’altare dell’io, un dialogo interiore causato da uno shock supremo, tenuto nel frattempo per sette anni dentro di te e svelato poi in sette giorni, come in un mito, quindi il libro può essere giustamente definito una mitobiografia, giacché volta le spalle a se stesso, come l’anima che cerca di elevarsi al di sopra di noi, per guardarci tramite un sacro silenzio, una non-parola. Lo scrittore rompe questo patto per mano del suo demone interiore, tu parli e ti viene facile confessarti davanti a visioni, un’icona, un ponte, la riva vicino a casa, l’alba, l’ascensore che, dopo aver aperto le sue porte, non restituisce ciò che noi vogliamo e tutto ricomincia con il sogno di ciò che vogliamo avere.
Lo scrittore dà voce silenziosa al foglio word sullo schermo del computer, una pagina azzurra come un pezzo di cielo paradisiaco e il suo studio della creazione diventa un campo di calcio, dove la vita gioca con la morte e l’arbitro è il destino. Dopo la partita stanno ancora insieme. E chi ha vinto? Sì, questo è un gioco senza veri vincitori e veri perdenti e Dio sa dov’è la verità, come arriva. È bella e spaventosa! C’era una volta, dici. E quella volta può essere anche domani. Tu cerchi di unirli nel tuo presente, il passato e il futuro.
Che sia un regalo per i nostri ragazzi. Sì, per i nostri figli che gli abbiamo spinti fatalmente a diventare nostri padri! Un errore enorme e un dolore infinito… Ci hanno sentiti. E non abbiamo avuto altra scelta che conoscere e capire la loro dignità nella morte come nella vita.
Durim Taci, sei riuscito a realizzare tutto ciò, in un modo brillantemente luttuoso e sei andato oltre… Servono Extra Words. So che non è un libro che urla, né un requiem di una luce debole. È un secondo sé, non solo il tuo. E non poteva essere diversamente … Ti rivolgi a te stesso come all’altro, al mondo, non hai a che fare con l’enfasi che è come una pandemia, quella non fa parte del tuo operato. Tu vedi che la realtà è davvero sorprendente, anti-logica, ma nel frattempo hai paura delle tue emozioni, non vuoi accennarle, in te è la vera poesia, il meccanismo che ti aiuta a proiettare l’emozione verso il lettore, che è il tuo altro sé.
Dopo tutto, il tuo delirio e la tua creazione, la tua stessa idea si svela nella sua pura concretezza: il sogno diventa corporeo, tu vuoi che il tuo Atis ritorni, come il figlio della mitologia che Zeus ha voluto far rinascere, tu vuoi resuscitarlo, amabile e bello, atleta nel regno della vita. Ecco perché l’ascensore del libro mentre chiude le ultime pagine, ci fa sentire che ha portato Atis a noi.

La presentazione del libro

L’autore

Durim Taci (1964) ha studiato filologia e cinematografia a Tirana, traduttore di oltre cinquanta titoli letterari, autore di numerosi libri pubblicati in Albania. Ha esordito nella narrativa italiana con il romanzo Codice Kanun (Edizioni dEste 2016). Ha pubblicato poi Extra Time, la tua seconda persona, Mimesis Edizioni (2020), un testo “mitobiografico”, ispirato dalle idee della scuola milanese Philo – Pratiche filosofiche, che ha frequentato. “Una presenza che sfugge”(di prossima uscita) è stato scritto nei giorni di quarantena per il covid-19, marzo-aprile 2020. Ha lasciato l’Albania nel 2000 e vive a Bergamo.

Si ringraziano Visar Zhiti, Alban Gijata e il sito Albania Letteraria

“Unstoppable soul”: corto, ma intenso

“Unstoppable soul”: corto, ma intenso

Il senso profondo e invisibile dei legami familiari nell’ultimo lavoro del regista Claudio Proietti

Claudio Proietti, romano, è scrittore, sceneggiatore, regista, autore di cortometraggi e di commedie teatrali, nonché produttore. È stato anche allievo dello sceneggiatore Leo Benvenuti, che ha scritto per registi del calibro di Mario Monicelli e Sergio Leone. 

Lo abbiamo intervistato a proposito del suo ultimo lavoro, il corto “Unstoppable Soul” che racconta il legame salvifico tra un padre e una figlia oltre i confini dello spazio/tempo: Giulio è un papà che ha sacrificato la sua esistenza per seguire la propria vocazione e Sara è una figlia che deve scoprire la propria. Un incontro tra anime inarrestabili.

Ciao Claudio, grazie per questa intervista e complimenti per il film.

Innanzitutto vorremmo sapere come mai hai scelto di realizzare un corto e non un lungometraggio.

Vorrei dare una risposta filosofica, ispirata. In realtà il discorso è sempre lo stesso: il budget. Inoltre, fare un lungometraggio, anche se a basso costo, prevede una serie di passaggi che in quel momento non era possibile fare. Ora sarebbe diverso.  

Il film è scritto, prodotto e diretto da te, immagino sia tua anche la scelta dei due bravi attori Valeria Zazzaretta e Duccio Camerini. Hai dovuto fare molti provini o avevi già l’idea di coinvolgere loro?   

Sono due bravissimi attori, hanno dato ai personaggi qualcosa di magico e incredibilmente realistico. A volte, come in questo caso, le cose accadono molto semplicemente: li ho contattati proponendogli la sceneggiatura e loro hanno accettato con entusiasmo.

Il tuo corto tocca argomenti come il rapporto con le figure genitoriali, il lutto, la nostalgia, la difficoltà di trovare la propria strada e la propria vocazione; quando è nata l’idea per il film? Era nel cassetto come era capitato per il tuo romanzo il Barbiere oppure è frutto di questi tempi?

È difficile stabilire il momento esatto in cui una storia viene concepita: certe vicende ci abitano dentro chissà da quanto tempo, magari si nascondono, cambiano volto. Ma stanno lì. Poi qualcosa accade. Sicuramente una parte di me, ad un certo punto, ha deciso che dovevo scriverla e girarla: mi son sempre sentito un tramite, mi lascio guidare da una storia, da un personaggio, li lascio prendere vita quando decidono che è il loro momento, tutto qui.

Il tema della vocazione/talento ricorre sovente nelle tue opere (anche letterarie), tu in particolare ne hai molti: sei scrittore, sceneggiatore e regista. Qual è il ruolo in cui ti senti più a tuo agio?

Non saprei. Una volta mi cercavo, provavo a definirmi e questo mi creava malessere. Capisco che per la società attuale le etichette sono necessarie, ma per me non è più così. La vocazione è qualcosa che riguarda tutti noi: meno ci definiamo più veniamo guidati da lei. E questo ci permette di realizzarci. 

Anche il tema dei rapporti tra genitori e figli è un argomento presente in questa e in altre opere… 

È l’unico tema: anche quando parliamo di altre cose, alla fine si riduce tutto a questo. Siamo anche un po’ i genitori di noi stessi: accettandolo, accettiamo di portare avanti la nostra vita. Questo a volte può spaventare, ma nel contempo rende liberi.  

Che obiettivi artistici e professionali ti sei dato nella realizzazione di quest’opera?

Nessun obiettivo: sono stato travolto da qualcosa più grande di me e mi sono reso disponibile.

Attualmente il tuo film è visibile su YouTube. Hai pensato anche ad altri canali distributivi? Quali?

Sì, ma al momento va benissimo così. Volevo trasmettere qualcosa che sentivo e sento profondamente, doveva arrivare a tutti e il più velocemente possibile. Perché non avvalermi di una piattaforma così popolare?

Come è stato accolto dalla critica “Unstoppable soul”?

Finora abbiamo avuto molti apprezzamenti, poi, come è normale che sia, ci sarà chi lo amerà di più e chi meno. Ad oggi è stato abbracciato con molto calore. 

Cosa ne pensi del panorama cinematografico attuale in Italia e qual è la tua visione per il prossimo futuro post pandemia?

Ci sono degli ottimi autori. E poi si sperimenta di più. Il futuro del cinema è quello dell’essere umano, non può essere che così: si indagherà sempre di più su tematiche intime e profonde, usando i vari generi, ovviamente. 

Il rapporto tra i tuoi libri e il cinema sembra forte: hai altri progetti a cui stai lavorando e che vedremo sugli schermi?

Sì. Sto sviluppando delle idee che mi piacciono molto. Ne parlerò prestissimo. Nel frattempo confido nei miei personaggi e nei loro mondi. Decidono loro. E io mi fido.

Ph. Enrico De Divitiis

Scheda del film

Ph. Enrico De Divitiis

Info tecniche:
Anno: 2021
Durata: 8,40 minuti
Formato: Ultra 4k
Audio: Dolby surround
Lingua: italiano
Sottotitoli: inglese
Crediti:
Regista: Claudio Proietti
Produttore: Claudio Proietti
Sceneggiatura: Claudio Proietti
Produttori esecutivi: Massimo Ferrari e Gaia Capurso
Fotografia: Fabio Lanciotti
Montaggio: Gustavo Alfano
D.I.T: Enrico De Divitiis
Operatori di ripresa: Fabio Lanciotti e Flavio Cammarano
Fonico di presa diretta: Roberto (Bob) Colella
Edizioni Musicali: Flipper music
Operatore drone: Flavio Cammarano
Trucco: Silvia Bottan
Cast:

Attore: Duccio Camerini
Attrice: Valeria Zazzaretta

Inchiostro, edizione numero tre per il festival letterario di Crema

Inchiostro, edizione numero tre per il festival letterario di Crema

Dopo due splendide edizioni che hanno immerso Crema nel fascino della letteratura e hanno animato il Sant’Agostino con una fiera della piccola editoria e incontri non stop dalla mattina alla sera con autori, editori, blogger, esperti del settore e giornalisti, dopo la serata di Pillole di Inchiostro realizzata lo scorso anno, il festival Inchiostro torna di scena venerdì 18 e sabato 19 giugno per una due giorni di qualità, con incontri letterari che esplorano la narrativa contemporanea.

Inchiostro, ideato e diretto da Lorenzo Sartori, è un progetto dell’Amministrazione Comunale di Crema in collaborazione con la Biblioteca Civica Clara Gallini e rappresenta uno dei fiori all’occhiello della cultura cittadina. L’edizione 2021, a causa della situazione pandemica, avverrà ancora in forma ridotta e propone tre aperitivi letterari nella splendida sala affrescata da Pietro da Cemmo e due serate sotto il cielo stellato, a CremArena. Sette autori in due giorni per esplorare la narrativa di genere e non con scrittori apprezzati a livello nazionale e internazionale come Massimo Carlotto, Sara Rattaro e Marco Balzano, esordienti di classe come Martina Merletti, nuove voci del thriller come Livia Sambrotta, Claudia Maria Bertola e Paolo Panzacchi.

Massimo Carlotto

Lillo Garlisi

Claudia Maria Bertola

Paolo Panzacchi

Martina Merletti

Marco Balzano
(Ph. Maria Cristina Traversi)

Livia Sambrotta

Sara Rattaro

Ad aprire le danze, venerdì 18 giugno alle ore 18, in compagnia del direttore artistico Lorenzo Sartori, saranno due nuove voci del thriller italiano: Livia Sambrotta, con Non salvarmi (SEM), ambientato in una comunità di recupero per i figli delle star di Hollywood, e Claudia Maria Bertola, con Vieni come sei (Morellini), ambientato nelle ville signorili della Milano bene dove proseguono le indagini della sua detective per caso Marina Novembre. In serata, dalle ore 21 presso CremArena doppio appuntamento con Sara Rattaro che, condotta da Barbara Donarini, presenta il suo ultimo romanzo Una vita semplice (Sperling&Kupfer), la storia di Cristina che viene presa in ostaggio nel corso di una rapina in un negozio e questo fatto la spinge in maniera estrema a guardare dentro di sé e capire quello che conta davvero. A seguire Marco Balzano, condotto da Alessandra Facchi, dopo il successo internazionale di Resto qui, l’autore presenta l’ultimo romanzo, Quando tornerò (Einaudi), storia potente dedicata alla forza dei legami e alle conseguenze delle nostre scelte.

Sabato 19 giugno gli aperitivi letterari raddoppiano e Inchiostro apre la sua seconda giornata alle ore 17.00 in Sala Pietro da Cemmo con un duo d’eccezione: Paolo Panzacchi e Lillo Garlisi condotti da Elisa Biffi Corni. Panzacchi è l’autore del thriller Dove nasce l’odio (Laurana), un romanzo attraversato da intrighi internazionali, politica, terrorismo e famiglie disposte a tutto, Garlisi è il suo editore e racconterà tutta un’altra storia, quella di chi ama pubblicare libri che sanno far luce sulla realtà. A seguire Inchiostro ospita Marina Merletti, condotta da Marco Viviani, per presentare la sua opera prima Ciò che nel silenzio non tace (Einaudi), una storia che dal 1999 percorre il tempo a ritroso fino a quel 1944 quando una suora salva un neonato ebreo nascondendolo nel cesto della biancheria sporca. A chiudere il festival, alle ore 21 in CremArena, sarà un vero maestro del noir, Massimo Carlotto, condotto da Paolo Panzacchi e Lorenzo Sartori, per presentare il suo nuovo romanzo E verrà un altro inverno (Rizzoli), una vicenda che si spinge nella provincia del nord-est, tra le pieghe di un piccolo mondo di imprenditori, una coppia solo all’apparenza felice e un paesino con troppi segreti da seppellire.

Tutti gli eventi sono a ingresso gratuito e libero fino a esaurimento posti e si svolgono nel pieno rispetto delle norme anti-covid.

I posti sono distanziati, fissi e assegnati all’ingresso (84 nella Sala Pietro da Cemmo e circa 200-240 a CremArena).

Si può assistere agli eventi solo seduti al proprio posto dopo avere ritirato il proprio biglietto segnaposto.

Non è prevista la prenotazione e si consiglia di presentarsi in piazzetta Terni de Gregory con un buon anticipo per espletare tutte le procedure di ingresso.

È obbligatorio l’uso della mascherina e il mantenimento del distanziamento interpersonale.

Info: www.festivalinchiostro.it

Let’s Start From Here, il sorprendente punto di partenza di Paolo Corsini

Let’s Start From Here, il sorprendente punto di partenza di Paolo Corsini

È uscito recentemente per Jazzy Records, accompagnato da un evocativo videoclip ambientato fra stazioni e aeroporti e realizzato dalla stessa etichetta, l’album del pianista e compositore veneto Paolo Corsini dal titolo “Let’s Start From Here”. “Cominciamo da qui”  non è solo una affermazione, ma quasi un monito ad indicare il costante divenire della musica e della vita.  Compagni di viaggio di Corsini sono il contrabbassista Alessandro Turchet e Luca Colussi, ritmica che brilla per intensità e leggerezza, a proprio agio con il senso delle estetiche Jazz tradizionali, ma guidata da un’ispirazione assolutamente contemporanea. Alessandro Turchet è quasi un alter ego del leader in ambito musicale, un musicista con cui ha condiviso e affinato il percorso di crescita e che in Let’s Start From Here sfocia in una apprezzabilissima sintesi.

Con Luca Colussi ed il suo stile raffinato e viscerale il cerchio si chiude: tre voci distinte che si intrecciano in una unica intenzione corale. La collaborazione come trio si consolida ufficialmente nel 2016, praticando molto la musica di Bill Evans e con la costruzione di un repertorio originale.  Nel 2020 dalla stessa sessione di registrazione vengono alla luce “Segni” a nome e con musica originale di Luca Colussi e “Let’s Start From Here”. Le composizioni contenutene disco sono state scritte in un periodo che va dalla fine degli anni ’90 ad oggi e vi si trovano tutti i rimandi a diverse estetiche delle quali il leader porta la forte influenza e con le quali si è consolidato il sue stile. Comuni’Arti ha incontrato Paolo per approfondire alcuni aspetti di questo lavoro davvero interessante.

Let’s Start From Here evoca un punto di partenza, ma tu non sei un musicista esordiente nel vero senso della parola. Parlaci delle esperienze che più ti hanno formato e che hanno contribuito alla nascita di questo tuo nuovo e interessantissimo lavoro.

L’esperienza più importante è stata avere delle persone intorno a me che mi hanno fatto diventare un musicista. A cominciare da Bruno Cesselli il mio mentore e grande amico che mi ha trasmesso l’amore incondizionato per la musica e poi tutto il circondario di musicisti ed artisti con il quale sono cresciuto e con i quali ho avuto la fortuna di lavorare.

Con Federico Missio ed io ancora “acerbo”, abbiamo condiviso nel 2007 una interessante esperienza discografica nella quale era presente anche Massimo Manzi. Si è creata una bella amicizia che dura tutt’ora tra me e Federico e che ogni tanto ci fa incontrare nuovamente, com’ è successo nel 2014 con l’organico allargato della “Scimmia Nuda” a Udine.

Ho avuto la possibilità di suonare stabilmente per un paio di anni nella Abbey Town Jazz Orchestra, diretta da Kyle Gregory, ho potuto saggiare l’aspetto da musicista “gregario” in un contesto di big band, altamente edificante.

Con Gandhi (Umberto Trombetta) ed i “Fearless Five” esplorammo il mondo della musica di Miles Davis “elettrico” e Joe Zawinul, devo dire in maniera entusiasmante.

Poi ho finalmente incontrato Anna Maria Dalla Valle, grazie a lei ho sviluppato come non avrei mai pensato la mia percezione artistica.

Abbiamo inciso in duo nel 2012 ed è stata un esperienza dalla quale ho imparato moltissime cose riguardo all’interazione, ed al dialogo con un altro musicista.

Arrivò poi il frangente con “Astral Travel” insieme a Tommaso Cappellato, un viaggio nel cosiddetto “spiritual jazz”, anche qui un lavoro in dimensioni molto ampie e più contemporanee.

Infine sempre insieme ad Anna Maria abbiamo sviluppato una nostra passione comune per l’ambito elettronico della drum ’n bass e dei frangenti elettronici inerenti.

Insieme a Dj Enjoy formammo questo trio ibrido “Squirrel Beats” nel quale mescoliamo gli strumenti con l’elettronica pura. In seguito la formazione è divenuta un quartetto solo strumentale con l’adozione però di un linguaggio che può essere più proprio delle “macchine” elettroniche.

Tutte queste esperienze hanno tracciato una via lungo la quale mi sono calato in stili molto differenti tra loro, dal carattere più acustico del solo pianoforte per poi abbracciare pienamente anche tutti i suoi “fratelli” elettrici, come il Rhodes ed i Synth. Sono molto appassionato dalla produzione in questo ambito, ed allo stesso modo dalla dimensione più acustica.

Alessandro Turchet e Luca Colussi, i membri del tuo trio, sono considerati “giovani jazzisti”, ma in realtà già da tempo inseriti nella scena italiana e mitteleuropea; sono artisti preparati, di grande sensibilità e legati a te anche da una grande amicizia. Che cosa apprezzi maggiormente nel loro modo di suonare, qual è il vero apporto che hanno dato alla tua musica?

Quello che apprezzo in Alessandro e Luca è il loro modo di suonare sincero, appassionato, viscerale e per niente artefatto. Hanno una visione artistica molto ben chiara che non lascia spazio ad inutili chiacchiere ed a autoreferenzialità.

Lavorare al repertorio del disco con loro è stato un processo produttivo, non si sono mai comportati da cosiddetti “sideman” facendo ciò che gli veniva richiesto, anche perché non è mai stata mia intenzione farlo. Abbiamo cercato di “indossare” ogni brano e chiunque dei tre ha suggerito modifiche o cambi di direzione qualora ne avvertisse la necessità. Diciamo che non si sono limitati ad eseguire una partitura data loro ma vi ci sono addentrati per renderla propria, così come farebbe un artista degno di questo nome. Ho una stima smisurata nei loro confronti e li ringrazio di cuore per il risultato ottenuto in questa incisione.

L’album è pervaso da un’estetica musicale dalla forte connotazione europea, con influenze ritmiche variegate che afferiscono anche ad esperienze più contemporanee e non strettamente Jazz. I brani, pur strutturati, non sembrano caratterizzati da arrangiamenti particolarmente “scritti”: avevi in mente questo tipo di sound quando sei entrato in studio, o è stato il frutto del “momento creativo” che si è sviluppato insieme ai tuoi compagni in sala d’incisione?

A dire la verità tutto il corpus dei brani è accuratamente intriso di scrittura ed arrangiamento, però la volontà è stata quella di non rendere questa caratteristica così evidente e men che meno pesante all’ascolto. Questo risultato è risultato possibile grazie al modo in cui tutti e tre abbiamo digerito ed interpretato il materiale, in modo da utilizzare estemporaneamente gli elementi presenti in una composizione non come dei percorsi rigidamente prestabiliti ma come dei tracciati sui quali potersi muovere il più liberamente possibile.

La Jazzy Records ha realizzato un videoclip particolare per il brano “By The Way”, che evoca scenari metropolitani, viaggi,  emozioni di “transfer” fisico ed emotivo, incontri e sentimenti in transito. Anche la tua scrittura è molto cinematografica. Il cinema è una tua passione? Quali sono i tuoi interessi oltre alla musica?

La cosa che più mi affascina è la dimensione immaginifica che nel cinema è tecnicamente effettiva mentre nella musica viene evocata dai suoni.

L’ascolto della musica mi porta sempre in una dimensione quasi cinematografica nella quale si susseguono scenari, sensazioni ed emozioni. Si il cinema mi appassiona, soprattutto se capitano delle pellicole che oltre a raccontare una storia tendono a portarmi ad una riflessione o all’esplorazione ed alla scoperta di ambiti intriganti. Anche tutto l’ambito documentaristico mi appassiona, soprattutto se incentrato sulla storia contemporanea e sulla scienza.

In ambito scientifico sono estremamente attratto dalle teorie rivoluzionarie dell’ultimo secolo come la meccanica quantistica. Oltre a questo una mia grandissima passione è la speleologia, amo le grotte e tutto quello che le circonda, il contesto ambientale, l’attività, l’esplorazione, è un mondo parallelo bellissimo e sconvolgente.

Ammetto che la speleologia mi ha fatto crescere dal punto di vista umano e filosofico.

Nel gennaio scorso la rivista Musica Jazz ha, come da tradizione, pubblicato i risultati del Top Jazz 2020. Che cosa pensi in generale delle scelte operate dai critici che hanno votato? Secondo te offrono un panorama “corretto” del “meglio” che il Jazz italiano offre oggi? 

Ammetto che non seguo in maniera ossessiva i risultati della classifica top jazz, mi incuriosiscono sicuramente ma non gli do un grosso peso, non per arroganza di certo, penso che riguardino solo una parte di ciò che succede nel nostro paese e che ci sia un grossissimo sommerso di artisti che per un motivo o per l’altro non arrivano alle nostre orecchie.

È anche vero che la classifica viene redatta da un corpus di critici che di sicuro hanno dei gusti e delle preferenze, mi piacerebbe tanto che la valutazione fosse estesa in qualche modo anche al reale pubblico degli ascoltatori del Jazz.

Indubbiamente gli artisti che compaiono nella classifica Top Jazz sono dei musicisti di calibro estremamente elevato, penso comunque che il panorama del Jazz italiano offra molto di più di quanto vi sia redatto, ed essendo già estremamente di valore quello che vi compare non oso immaginare quanti altri meravigliosi artisti siano presenti sul suolo nazionale.

Cosa pensi dell’idea del Ministro della Cultura Franceschini di creare una sorta di “Netflix “ della cultura? Dove ci sta portando questa pandemia dal punto di vista dello spettacolo e del rapporto del pubblico con lo spettacolo dal vivo? Hai avuto esperienze concertistiche in streaming senza pubblico e se sì, quali emozioni e sensazioni hai vissuto?

Per quanto il nostro Paese sia straordinario dal punto di vista della percezione della cultura ci troviamo in un bel crepuscolo per tante motivazioni.

Sarebbe molto bello se diventasse invece un motore alla base della nostra società, così come dovrebbe essere a mio avviso. Solo il concetto di definire una “utilità” della cultura è sbagliato, perché vuol dire che dal punto di vista sociale vengono percepite delle altre necessità prima di questa e nella maggior parte dei casi provengono da logiche “produttive”.

Dovrebbe essere esattamente il contrario, la cultura e la conoscenza è il requisito base sul quale costruire tutto il resto, inclusa la concezione più materiale ed operativa.

Indipendentemente dalla mansione svolta da ogni esser umano la prima necessità dovrebbe essere quella di nutrirsi ed arricchirsi di conoscenza, così da diventare una vera e propria persona intraprendendo il proprio percorso.

Non conosco dettagliatamente l’iniziativa di Franceschini, ammetto che sicuramente è interessante dal punto di vista divulgativo ma non ho la certezza che possa diventare un canale realmente trasparente nel quale vi sia spazio adeguato a tutte le innumerevoli realtà presenti nel nostro paese.

Soffriamo per altro di una mentalità estremamente provinciale e dedita al clientelismo, sarebbe bello se un mezzo del genere ne fosse esente, ma da quanto è radicata temo sia impossibile.

Questa pandemia ci sta sufficientemente demolendo dal punto di vista sociale e psicologico. È lodevole ricorrere allo streaming o alla “somministrazione a distanza” di concerti o eventi artistici, questo però è solo un succedaneo e non può restituire quella che è una esperienza dal vivo.

C’è bisogno di avere un rapporto tra l’artista ed il pubblico, non può essere altrimenti, un musicista non esiste se non c’è qualcuno che lo ascolta però questo non può ridursi ad un ascolto sterile da un dispositivo, c’è la necessità di interagire con le altre persone, siamo fatti di questo.

Quest’anno ho avuto una esperienza durante la quale ho suonato con un pubblico risicato mentre veniva trasmesso il concerto in streaming, ammetto che la mia attenzione andava alle persone presenti, non per mancanza di rispetto ma perché ne avvertivo l’effettiva presenza e l’interazione, quello che ho suonato e come è dipeso da chi c’era ad ascoltarmi.

Oltre all’insegnamento, a cui ti dedichi da anni, a quali progetti stai lavorando?

Attualmente sto lavorando a “Squirrel Beats” come già menzionato prima, diciamo che è un progetto ambizioso ma estremamente gustoso per me.

È un cross over in termini di linguaggio, la volontà ambiziosa è quella di coniugare nello stile e nelle forme contemporanee quelle più strettamente jazzistiche.

È una situazione che potrebbe avere un respiro molto ampio anche a livello internazionale, sto lavorando nella ricerca dei giusti canali di promozione.

Sempre in questo ambito mi sto interessando alla produzione in proprio, cosa che ho sempre fatto per piacere personale ma che vorrei portare ad un livello professionale.

Il CD di Paolo Corsini è disponibile su www.jazzy-records.com